La rilevanza culturale di Chrome Hearts
STYLE
13 Ottobre 2025
Articolo di
Camilla Bordoni
La rilevanza culturale di Chrome Hearts
Ci sono icone che nascono già con il destino di diventare culto e altre che arrivano strada facendo trascinate dall’alchimia tra moda, cultura pop e un certo senso di ribellione; ma Chrome Hearts appartiene alla prima categoria. Un brand che è una fashion house, una gioielleria, uno studio di design o semplicemente un’intuizione geniale, sovversiva e controcorrente nata nel 1988 da un appassionato di motociclette Richard Stark insieme all’amico John Bowman e al mastro gioielliere Leonard Kamhout.
Il trampolino di lancio? Un film a basso costo chiamato “Chopper Chicks In Zombietown” in cui il marchio figurò apparendo nei titoli di coda della pellicola per i costumi. Da lì in poi nulla fu più lo stesso per Chrome Hearts. Attenzione però, non diventò mai il fashion brand commerciale ma un fenomeno capace di fondere moda, street culture e immaginario underground con un filo di glamour gotico e ricercatezza. Insomma la firma più che altro identificò un’estetica e un linguaggio culturale in grado di sedurre tutti: cinema, anime e big designer.
Dal Kaiser della moda alle social icon, batte forte il cuore di argento sterling
Linea dura, quasi aggressiva, che mescola il metallo delle catene con il cuoio. L’hardcore gotico trova senso con il rock’n’roll. Chrome Hearts fin dall’inizio è stato moda, sì, ma senza volerlo dichiarare apertamente. Un marchio a ben vedere “contro”, assolutamente difficile da etichettare e per questo forse tanto amato da essere volutamente ricercato, copiato e indossato.
Sono tante le star che hanno indossato la firma. Kylie e Kendall Jenner, Bella Hadid, Drake, Travis Scott persino Britney Spears, ma le vere personalità a contribuire a renderla cult sono stati nomi come Cher, Ozzy Osbourne e Karl Lagerfeld. In particolare il kaiser della moda non poteva che essere il “modello” perfetto per incarnare il battito di Chrome Hearts e l’immagine con cui lo ricorderete ne è la dimostrazione. Blazer da dandy, pantaloni dritti e attillati, camicia inamidata con colletto rigoroso, occhiali neri, guanti e una cascata di anelli, collane, catenine e ninnoli firmate proprio dalla house losangelina. Non un endorsement qualsiasi, quindi, ma un sigillo di credibilità.
Dagli anime alle macchine stellari. Chrome Hearts è un fenomeno culturale?
«Per me Chrome Hearts non ha nulla a che fare con il mondo della moda» aveva detto Jesse Jo Stark (la figlia di Richard Stark, ndr) alla stampa nel lontano 2008. Un’affermazione curiosa se ci si sofferma a pensare sulle innumerevoli collaborazioni che la casa ha stretto nel corso del tempo e che hanno fatto in modo di accrescere il suo alone di “fenomeno culturale”. Joopiter, Rick Owens, Rolex, Yves Saint Laurent, Baccarat, Barbie, Comme Des Garçons, Off-White con Virgil Abloh ne sono un esempio. Eppure c’è un’altra curiosità che ribadisce l’allure del brand.
In maniera non ufficiale, sembra che il brand sia particolarmente amato anche da altri personaggi noti; ovvero quelli che abitano il mondo degli anime. Nell’anime coreano Lookism per esempio si possono ammirare ciondoli a croce e accendini ispirati a quelli di Chrome Hearts, e anche in Nana. Camei sono presenti anche in Death Note e in Kengan Ashura.
Il segreto del successo di Chrome Hearts potrebbe essere proprio il non volersi etichettare, promettendo lusso e underground, raffinatezza e provocazione a tutti, nessuno escluso. Il brand in un certo senso non chiede di essere compreso ma si lascia desiderare da chi ha voglia di appartenere a un’estetica precisa. Una value proposition al netto vincente, tanto da aver reso il marchio oltre che amato, anche copiato da presunti competitor.
Insomma, ad oggi Chrome Hearts vanta ben più di due milioni di follower su Instagram mentre lo shop online rimane ridotto all’essenziale, al contrario della sua sezione magazine dove il suo universo stilistico parla molto di più seppur solo graficamente. Di fatto quello che il marchio ha fatto nel corso degli anni è aver dimostrato che a volte non serve essere troppo blasonati, quanto piuttosto giocare sull’intersezione tra autenticità, cultura, “mistero” e desiderio.
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