FOOD & BEVERAGE

12 Dicembre 2025

Articolo di

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Nadia Afragola

BITE, il futuro del cibo italiano ha una casa

FOOD & BEVERAGE

12 Dicembre 2025

Articolo di

Nadia Afragola
BITE Barilla Centro ricerca sviluppo Parma

BITE, il futuro del cibo italiano ha una casa

A Parma c’è un edificio che, visto da fuori, potrebbe sembrare “solo” un nuovo centro aziendale.
Dentro, però, succede altro: 14mila metri quadri in cui la pasta, i sughi e i biscotti che abbiamo in dispensa ogni giorno smettono di essere prodotti finiti e diventano prototipi, dati, immaginari, emozioni. È il BITE – Barilla Innovation & Technology Experience – il nuovo cuore creativo del gruppo, nel luogo dove tutto è iniziato 148 anni fa, nel pieno della Food Valley italiana.

Qui la linea è sottile: non si capisce più dove finisca l’industria e dove inizi l’atelier. Perché il cibo, prima ancora che prodotto, viene trattato come un linguaggio, un codice da riscrivere pezzo dopo pezzo per capire come mangeremo domani.

Un atelier del gusto nel cuore della Food Valley

Il BITE è un edificio grande quanto due campi da calcio, incastonato accanto al molino, al pastificio e agli uffici Barilla: una sorta di “cittadella” del cibo dove il passato industriale dialoga con il futuro dell’innovazione.

In questi corridoi la pasta non è più “solo” pasta, il biscotto non è “solo” colazione: sono materiali vivi, da smontare, studiare, ricomporre. Il Made in Italy smette di specchiarsi nella retorica rassicurante della tradizione e decide di farle le domande scomode: come rendere una ricetta più sostenibile? come migliorare la texture di una sfoglia senza tradirne la memoria? come si racconta, oggi, un prodotto che vogliamo sentire familiare ma contemporaneo?

Il BITE è la risposta a queste domande: un luogo in cui ciò che sappiamo del cibo viene messo alla prova, misurato, discusso. E dove la tradizione non è un alibi, ma una base da reimmaginare.

BITE Barilla Centro ricerca sviluppo Parma

Un investimento che parla la lingua delle grandi visioni

Dietro questo edificio c’è una scelta di posizionamento molto chiara. Barilla ha investito oltre 20 milioni di euro per dare forma a un ecosistema di innovazione che complessivamente misura 13.800 mq: 4.800 mq di Innovation Center e 9.000 mq di impianti pilota. Numeri che fissano una dichiarazione sul tavolo: non limitarsi a seguire i trend del food, ma contribuire a crearli.

In questi spazi troveranno casa più di 200 professionisti – tecnologi alimentari, ricercatori, ingegneri, food designer, sensory expert, chef – affiancati ogni anno da 30 giovani talenti italiani e internazionali, selezionati tramite programmi di internship e collaborazioni con università e centri di ricerca nel mondo.

È un modello quasi da maison del lusso: l’atelier come laboratorio concettuale, osservatorio sociale, officina di prototipi. Solo che, al posto di tele e bozzetti, qui ci sono trafile al bronzo, rugosimetri, nasi elettronici e pannelli sensoriali. E al posto delle sfilate, i “défilé” sono degustazioni guidate e sessioni di co-design con clienti, buyer, partner.

Il cibo come esperienza, non più solo prodotto

Se c’è un’ossessione che abita il BITE, è questa: trasformare un prodotto quotidiano in un’esperienza.
La domanda non è più soltanto “è buono?” ma diventa: Che emozione genera questo assaggio? Quanto resta in memoria quella consistenza? Che storia racconta al palato di chi lo sceglie?

Per rispondere, Barilla ha costruito un vero ecosistema: l’Innovation Center integra spazi di Design Thinking, aree dedicate ai test sensoriali e alle degustazioni, due cucine sperimentali – una per la pasta, una per il mondo bakery –, un auditorium per incontri, talk, co-creazione.

Dentro questo sistema vive anche il Customer Collaboration Center: non una semplice sala riunioni, ma un ambiente immersivo dove buyer, clienti e ospiti entrano letteralmente “dentro” i prodotti. Si muovono tra dati sui consumi, storytelling gastronomico, assaggi guidati, scenografie luminose e contenuti digitali.

È lo stesso linguaggio che vediamo nei progetti esperienziali di moda, lusso e lifestyle: niente più presentazioni piatte, ma percorsi in cui il brand diventa spazio, luce, suono, matericità. Solo che, qui, tutto finisce in un piatto di pasta o in un biscotto nel carrello della spesa.

Professione sensory expert: quando il palato parla il linguaggio dei dati

Tra le figure più affascinanti del BITE c’è il Sensory Expert. Assaggiare il cibo è un gesto antichissimo. Qui, però, viene trasformato in una disciplina tecnica, quasi in un super-potere allenato al millimetro.

La selezione è severissima: test olfattivi e gustativi, prove di riconoscimento di sfumature minime, capacità di descrivere ciò che si percepisce con un linguaggio preciso, condiviso. Non basta avere “buon gusto”: serve saper tradurre sensazioni in numeri, impressioni in matrici di dati.

Chi passa questa prima fase affronta almeno sei mesi di training, quattro ore al giorno, guidato da food scientist specializzati in scienze sensoriali. Obiettivo: trasformare il palato in uno strumento di laboratorio, tarato e stabile nel tempo. I panelist vengono costantemente riallineati, proprio come si farebbe con una macchina di misurazione.

Ogni anno questo panel analizza oltre 1000 campioni tra pasta, sughi, biscotti e prodotti da forno. Per ogni prototipo nasce una carta d’identità sensoriale: aspetto, aroma, struttura, sapore, retrogusto, texture. Tutto viene registrato, descritto, correlato.

Accanto a loro lavorano strumenti come il rugosimetro, che scorre sulla superficie della pasta Al Bronzo come una puntina su un vinile per misurarne la ruvidità, e il naso elettronico, che mappa l’impronta aromatica del basilico per il Pesto alla Genovese, separando le molecole odorose e costruendo – grazie all’intelligenza artificiale – una vera mappa olfattiva.

Il risultato è una triangolazione continua tra dati chimico-fisici, valutazioni sensoriali degli esperti, feedback dei consumatori prima e dopo il lancio. È qui che si decide, per esempio, quanto debba essere croccante un cracker per diventare “irresistibile” o qual è il punto esatto in cui l’intensità di cioccolato in una merenda incontra il massimo piacere senza risultare eccessiva.

L’innovazione che abbiamo già in dispensa

Per capire cosa rappresenti davvero il BITE basta guardare a quello che, in parte, è già arrivato nelle nostre cucine.

La rivoluzione della blue box.

Nel 1950, dopo un viaggio negli Stati Uniti, Pietro Barilla decide di confezionare la pasta in scatole di cartone: oggi è la normalità, allora era un gesto quasi radicale. Da quella scelta è nato un universo di packaging progettato per il riciclo, con l’iconica scatola blu in cartoncino proveniente da foreste gestite responsabilmente e senza finestrella in plastica. Il risultato? Circa 126mila kg di plastica risparmiati ogni anno.

Mulino Bianco e il rito della colazione italiana.

Negli anni Settanta, i biscotti smettono di essere solo “cibo da bambini” e diventano il centro di un rito tutto italiano: la colazione dolce degli adulti. Da allora l’innovazione non si ferma: nuovi formati – come gli Alveari – e il miglioramento del profilo nutrizionale di circa 140 prodotti dal 2010, tra riduzione di zuccheri e grassi, più fibre, più ingredienti integrali. La tradizione resta, ma si riscrive continuamente con un’attenzione crescente al benessere.

Pasta Al Bronzo e lasagne “salva tempo”.

Qui la tecnologia si insinua nei dettagli. Le nuove trafile in bronzo con microincisioni aumentano la rugosità della pasta, anche all’interno dei formati tubolari, migliorando l’aderenza del sugo e amplificando il gusto al morso. Allo stesso tempo, le lasagne secche che si comportano come fresche parlano a chi cerca comfort food e velocità: nessuna precottura, la sfoglia assorbe in forno l’umidità del condimento, regalando una consistenza più intensa e dolce, con un gesto in meno da compiere.

Mooncake Pan di Stelle: una merenda adulta, leggera e “stampata”.

Dodici anni di ricerca per trasformare un dolce della tradizione giapponese in una merendina a lunga conservazione: cottura a vapore in doppio stadio, 116 kcal e meno di 4 grammi di grassi, un pan di spagna al cacao con cuore di crema fondente pensato per palati adulti e momenti di consumo fluidi, dalla colazione al dessert serale. Una stampante 3D firma ogni pezzo con la stella iconica, rendendo ogni Mooncake Pan di Stelle immediatamente riconoscibile.

Pasta 3D e fusilli spaziali.

Al BITE la pasta diventa anche linguaggio visivo: formati stampati in 3D con geometrie impossibili da ottenere con le tecniche tradizionali aprono a nuove occasioni di consumo – aperitivi, dessert, finger food – e trasformano il piatto in design. E poi ci sono i fusilli arrivati fino alla ISS, la Stazione Spaziale Internazionale: studiati per restare al dente e sicuri a temperatura ambiente senza conservanti, accompagnano la candidatura della cucina italiana a Patrimonio Immateriale UNESCO. La pasta, letteralmente, “out of this world”.

Tutte queste storie raccontano la stessa linea: usare tecnologia e ricerca non per snaturare la tradizione, ma per amplificarla, renderla più responsabile, più vicina ai linguaggi e alle esigenze del presente.

Dall’agricoltura rigenerativa alle startup: il sistema Barilla visto dall’alto

Il BITE non è un oggetto isolato, ma il punto visibile di una rete che parte dai campi agricoli e arriva ai laboratori di ricerca, passando per università, startup, archivi storici.

Barilla lavora con oltre 7.000 agricoltori e con 815.000 tonnellate di materie prime lungo quattro filiere strategiche presidiate da disciplinari dedicati – dal Decalogo per il Grano Duro di Qualità alla Carta del Mulino – con l’obiettivo di raggiungere entro il 2030 circa 250.000 tonnellate di materie prime provenienti da produzioni rigenerative certificate.

Sul fronte della ricerca scientifica, sono attive 84 collaborazioni con università italiane e internazionali: dal CNR alla Wageningen University & Research, dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo a numerosi centri europei e nordamericani.

A questo si affiancano le startup selezionate attraverso il programma Good Food Makers: 28 collaborazioni avviate su oltre 1200 candidature provenienti da 41 Paesi, su progetti che spaziano dall’agricoltura indoor alla tracciabilità delle filiere, fino all’uso dell’intelligenza artificiale per migliorare logistica, sicurezza e qualità.

È un modello di open innovation che ricorda i distretti creativi di moda, design e tech, con una differenza sostanziale: qui il prototipo finisce davvero in tavola.

Perché il BITE ci riguarda, anche se non lavoriamo nel food

La domanda finale è semplice: perché un luogo come il BITE dovrebbe interessarci, se non siamo tecnologi alimentari, product manager o ricercatori? Perché parla di noi.
Parla di una generazione che chiede prodotti più trasparenti, esperienze più autentiche, brand capaci di usare la tecnologia come strumento di benessere, non di effimero. Parla di un’idea di Made in Italy in cui un piatto di pasta può essere, allo stesso tempo, comfort, design, sostenibilità, ricerca scientifica, racconto culturale.

Il BITE è la risposta di Barilla a questo scenario: un centro in cui AI e Internet of Things misurano ciò che un tempo era affidato solo all’intuito, in cui il basilico viene studiato come un profumo haute couture, in cui giovani talenti e professionisti esperti lavorano fianco a fianco per immaginare forme, consistenze e rituali di consumo che ancora non esistono.

È il luogo in cui la parola “tradizione” smette di essere una formula comoda e diventa responsabilità: verso chi coltiva, chi produce, chi crea valore e chi quel valore lo porta a tavola.

Ed è forse qui che si gioca la sfida più interessante del prossimo Made in Italy: fare in modo che ogni morso – di pasta, di biscotto, di merenda – continui a sapere di casa, pur raccontando un futuro completamente nuovo.

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