La rivoluzione gentile di Jessica Rosval
FOOD & BEVERAGE
19 Dicembre 2025
Articolo di
Nadia Afragola
La rivoluzione gentile di Jessica Rosval
Ci sono chef che costruiscono piatti. E chef che costruiscono mondi.
Jessica Rosval appartiene alla seconda categoria: una di quelle voci che, partendo da una cucina di fuoco e di campagna, oggi si muove con naturalezza sul perimetro dove si incontrano fine dining, impegno sociale e futuro dell’ospitalità.
Canadese, emiliana d’adozione, cuore pulsante della Francescana Family, è la firma dietro Al Gatto Verde, il ristorante dentro Casa Maria Luigia che in poco tempo ha conquistato una stella e una stella verde Michelin, diventando un riferimento per chi vede nella sostenibilità qualcosa di più di un claim da manifesto.
Mentre il mondo continua a ripetere parole come “inclusione” e “community”, lei le porta in sala e in cucina: con Roots e con il lavoro fatto insieme ad Association for the Integration of Women ha trasformato il gesto quotidiano del cucinare in un dispositivo concreto di formazione, emancipazione e accesso al lavoro per donne migranti. Un impegno che negli ultimi mesi le è valso anche un doppio riconoscimento da parte di La Liste – Community Spirit Award 2026 e Talent of the Year 2026 – a conferma di quanto la sua traiettoria stia parlando ben oltre Modena.
Il suo baricentro resta comunque lì, tra le vigne e le querce di Casa Maria Luigia: un ecosistema in cui camere, acetaia, opere d’arte, motori e tavole imbandite raccontano una certa idea di Italia contemporanea, vista attraverso lo sguardo di Massimo Bottura e Lara Gilmore. In questo paesaggio, la cucina di Jessica è la traduzione commestibile di un pensiero: fuoco vivo come strumento creativo, energia rinnovabile come scelta non negoziabile, prodotti del territorio spinti in avanti senza nostalgia ma con rispetto.
Dentro questo perimetro, la chef tiene insieme molte vite: quella della cuoca che guida una brigata giovane e internazionale; quella della professionista che fa ricerca su tecniche, materie prime e linguaggi del gusto; quella della donna che rivendica il diritto a una felicità piena, fatta di famiglia, amicizie, corse all’aria aperta, libri che allargano lo sguardo e musica che rimette ordine nei pensieri. Non è un equilibrio semplice, ma è esattamente il campo di gioco su cui si muove la nuova generazione di chef-leader globali.
Più che ripercorrere un curriculum, proviamo a entrare nelle pieghe del suo immaginario: cosa significa crescere dentro la Francescana Family, che responsabilità comporta guidare un ristorante “radicale” in tempi di crisi climatica, come si tiene fede alle parole sostenibilità e comunità senza svuotarle di senso, che forma prende il successo quando lo si guarda dalla prospettiva di chi si definisce ancora “allieva eterna”. È un dialogo che parla di fuoco e di futuro, ma soprattutto di persone. E di quanto un piatto, a volte, possa cambiare la direzione di una vita.
Le scrisse il giorno dopo aver mangiato da lui. Le scrisse che era disposta a ricoprire qualsiasi mansione in cucina. È passata ad essere un cliente a ricoprire il ruolo di braccio destro di Massimo Bottura. Come ci è riuscita? Sembra il copione di una produzione Netflix.
Sono arrivata in Italia con il desiderio di scoprire nuove culture gastronomiche. Dopo solo una settimana ho prenotato un tavolo all’Osteria Francescana. Quella cena mi ha cambiato la vita: ho capito che un menù poteva essere un viaggio di emozioni, fatto di poesia, territorio e storie.
Alla fine del pasto ho incontrato Massimo Bottura. Abbiamo parlato di cibo, di cultura. Lui si propose di aiutarmi a trovare un lavoro a Milano, ma io sapevo già cosa volevo: entrare nella sua brigata. Non era un colpo di fortuna da film, era una scelta rischiosa e consapevole.
Da lì è iniziato un percorso di duro lavoro: turni infiniti, calli sulle mani, disciplina e dedizione quotidiana. Sapevo che volevo imparare da lui come trasformare idee gigantesche in piccoli bocconi, come comprimere racconti enormi in un assaggio. Questa potente forma di comunicazione attraverso il cibo mi ha conquistata.
Massimo Bottura mi ha insegnato a vivere con occhi e mente aperta, ad ascoltare davvero, a capire che un cuoco è molto più della somma delle sue ricette.
Poi arriva Casa Maria Luigia. L’ha definita “una capsula del tempo”, cosa accade là dentro? Un nuovo modo di intendere l’ospitalità.
Casa Maria Luigia è un luogo che può esistere solo qui. È una capsula del tempo che custodisce e racconta storie: quelle dell’Osteria Francescana, dell’Emilia-Romagna, del territorio, della memoria e dell’ispirazione che ci circonda. È un crocevia di suggestioni che ci spinge ogni giorno a esprimerne la bellezza attraverso il cibo che creiamo.
Per i nostri ospiti è uno spazio di immersione totale: qui possono entrare dentro a un racconto fatto di sapori, di paesaggi, di arte e di cultura. Ma soprattutto, è un luogo in cui ci si sente liberi, come a casa propria. Perché alla fine, non c’è nulla di più autentico della libertà.
La colazione da Casa Maria Luigia… l’hanno definita leggendaria. Perché?
La colazione a Casa Maria Luigia è nata dai ricordi e dalle ispirazioni di Massimo (Bottura, ndr), come il cotechino a Natale e i profumi delle cucine modenesi, e insieme l’abbiamo trasformata in qualcosa di nuovo. Quelle memorie sono diventate un rito quotidiano che la nostra squadra porta avanti ogni mattina: focacce fumanti cotte nel forno a legna, frutta e verdure di ogni stagione arrostite, bocconi salati che bilanciano tradizione e sorpresa. Ogni piatto porta con sé l’eco delle storie di Massimo e prende forma grazie al lavoro condiviso, trovando una vita propria nel ritmo delle mattine di Casa Maria Luigia. Il risultato è una colazione che ricorda un risveglio di Natale, familiare e festoso, una mattina lenta in cui puoi restare a tavola per tutto il giorno.
C’è la cucina emiliana. La cucina del futuro e quella del suo paese di origine, lei è canadese. Nel mezzo di tutto questo troviamo Al Gatto Verde. Ci dà delle coordinate? Ci restituisce delle suggestioni? L’ha definito un ristorante radicale.
Al Gatto Verde nasce proprio dall’incontro di questi mondi. L’Emilia-Romagna, con la sua cucina profondamente radicata nel territorio e nella memoria collettiva e Il Canada, che porto dentro di me come terra di natura selvaggia, di fuoco e di libertà. E poi lo sguardo rivolto al futuro, con la volontà di ripensare il rapporto tra uomo, natura e cucina.
L’ho definito un ristorante radicale perché non scende a compromessi: cuociamo tutto sul fuoco vivo, utilizziamo solo energie rinnovabili, e cerchiamo di raccontare tutta la bellezza di questo paese, in un modo nuovo, libero da convenzioni.
Per me Al Gatto Verde è un luogo dove il fuoco non è solo tecnica di cottura, ma simbolo di trasformazione, di incontro, di rinascita. Ed è in questo equilibrio tra terra, storia e innovazione che vogliamo restituire emozioni e esperienze unique.

BOUILLABAISSE
Frutti di mare, zafferano, arancia
I LIMONI
Limoni italiani, mandorla amara, colatura di alici

Fuoco e forno a legna sono i protagonisti a Casa Maria Luigia. Niente barbecue ovviamente, si tratta semmai di una vera e propria “esperienza sensoriale”. Eppure, sembra tanto un “format” tradizionale. Parliamo di identità?
Il fuoco e il forno a legna sono protagonisti, sì, ma non come riproduzione di un format. Non facciamo barbecue: costruiamo esperienze sensoriali. Il fuoco, per noi, non è un cliché, è un linguaggio. È uno strumento che plasma sapori, ma soprattutto emozioni.
La nostra identità non nasce dall’imitazione di un modello tradizionale, bensì dall’ascolto di ciò che il fuoco può raccontare: la trasformazione della materia, la luce e l’ombra che crea, il tempo che scandisce. È un ritorno alle origini, ma filtrato attraverso la consapevolezza contemporanea.
In questo senso, il fuoco è un prisma attraverso cui leggiamo il territorio, l’Emilia, le nostre storie personali. Diventa il cuore pulsante di un’esperienza che è radicalmente nostra, e che non si può replicare altrove.
La vita del cuoco non può essere solo stare ai fornelli. Cosa c’è altro?
Amo viaggiare e scoprire nuovi territori, ma anche nutrirmi di storie e idee attraverso la lettura. Amo stare con la mia famiglia e con la mia gatta. Appena posso cerco l’aria aperta: correre, muovermi, immergermi nella natura è il mio modo di ricaricarmi. E poi c’è il piacere semplice di un bicchiere di vino, una lunga chiacchierata e tante risate con le mie care amiche.
Sostenibilità. Una parola abusata, un approccio spesso forzato. Come si restituisce valore a qualcosa che spesso pare essere solo di moda ma non porta poi a dei gesti concreti nella quotidianità?
Sostenibilità è una parola che rischia di diventare vuota se la usiamo solo come etichetta. Per me non è una moda, è un impegno quotidiano, fatto di scelte precise: creare cucine inclusive che generino opportunità reali per le persone, valorizzare i produttori locali, rispettare le stagioni, ridurre gli sprechi.
Il vero valore si restituisce così, trasformando un concetto astratto in gesti concreti che cambiano il modo in cui cuciniamo e il modo in cui viviamo. Non serve gridare la parola “sostenibilità”: serve praticarla ogni giorno, anche nelle piccole cose. È lì che diventa autentica.
Parla spesso dell’importanza di lavorare anche per la comunità. In che senso il cibo va inteso come comunità? Come arriva alla tavola di Roots?
Il cibo è, prima di tutto, un linguaggio di condivisione. Non esiste esperienza gastronomica senza comunità: attorno a un tavolo non si nutre soltanto il corpo, ma anche il legame tra le persone.
Per me cucinare significa assumersi una responsabilità: restituire qualcosa al territorio che ci ospita e alle persone che lo abitano. Con Roots e con AIW (Association for the Integration of Women) abbiamo dimostrato che il cibo può essere strumento di inclusione, di formazione, di emancipazione. Una ricetta non è mai solo un piatto: è storia, identità, il gesto che si offre all’altro.
In questo senso il cibo è comunità: un terreno comune dove tutti possono sedersi, riconoscersi e sentirsi parte di qualcosa di più grande.
Ha il piglio della leader. Che musica ascolta quando deve fermare il marasma di tutti i giorni e raccogliere le idee? Cosa legge? Come veste? Verso quali mete si dirige? Che donna è Jessica quando sveste i panni della cuoca?
Con la musica mi muovo tra mondi diversi: a volte accompagno i miei pensieri con trame indie riflessive e narrative, altre volte con la musica classica. Quando cerco chiarezza ed energia mi affido invece a lunghe corse scandite da battiti ad alta frequenza.
E così come la musica cambia il mio stato d’animo, la lettura lo espande: leggo soprattutto romanzi storici, biografie e mitologia. Racconti che attraversano grandi periodi della storia e mostrano l’esperienza umana più autentica, storie che spiegano non solo ciò che è accaduto, ma anche perché siamo come siamo.
Quanto al mio modo di vestire, nei giorni liberi amo la comodità, ma apprezzo anche le belle occasioni che mi permettono di indossare abiti eleganti.
Chi ti credi di essere? Questa la domanda con cui si apre il sito della Francescana Family. Una riflessione su ciò che si è imparato lungo tutto il percorso. Jessica… chi ti credi di essere?
Mi credo una cuoca, sì, ma soprattutto un’allieva eterna: delle persone che incontro, delle culture che incrocio, dei luoghi che mi accolgono. Cerco di trasformare ogni esperienza in nutrimento, non solo per me ma anche per chi mi circonda.
Che sapore ha la felicità?
La felicità ha il sapore di un piatto cucinato da mia mamma.
È un gusto che mi riporta immediatamente all’infanzia, a quei momenti in cui tutto era semplice e spontaneo. Quel sapore porta con sé il ricordo della casa, della famiglia, della protezione e dell’amore. È il sapore dell’innocenza e della leggerezza e la felicità è proprio lì, in quella memoria gustativa che ogni volta mi fa sentire di nuovo bambina.
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