Da Olly a Levante, lo stylist Lorenzo Oddo si racconta. La moda? «È una disciplina»
STYLE
26 Giugno 2025
Articolo di
Camilla Bordoni
Da Olly a Levante, lo stylist Lorenzo Oddo si racconta. La moda? «È una disciplina»
Come si costruisce l’immagine di un artista? O meglio: come si racconta la storia di un artista? Lo styling è un’arte complessa; fatta di abiti certo, ma anche di molta ricerca, psicologia e un pizzico di strategia. Di fatto però tutti questi elementi non avrebbero senso se non ci fosse una mano abile a metterli in ordine.
Contrariamente a quanto si possa pensare, lo stylist non è solo colui che veste qualcuno. Non si limita a creare gli abbinamenti giusti o a scegliere l’accessorio coerente con il resto del look. Lo stylist, oltre che un esteta esperto, è anche un po’ uno “psicologo” che tramite i capi è in grado di dare una forma e uno stile all’universo (intimo e pubblico) del proprio talent.
Ma quali sono gli step fondamentali e le skills necessarie per questo mestiere? Quali i pro e i contro? E gli aneddoti più interessanti? Ce lo ha raccontato lo stylist Lorenzo Oddo (aka Mr Lollo) che, da Olly fino a Levante, La Rappresentante di Lista e molti altri, si è caricato da subito di una grande responsabilità: quella di costruire uno stile coerente all’animo del proprio committente, senza essere schiavo delle tendenze virali.
Raccontaci come sei arrivato nel mondo dello styling. Quali sono state le tue prime esperienze?
Nasco come designer, ho studiato alla Marangoni. Quando ho iniziato non esisteva la sezione di styling. Ho lavorato per un po’ di anni come stilista ma comunque ho sempre coltivato l’aspetto dello styling; anche per i brand mi ritrovavo a curare tutta la parte degli show. Il mio approccio creativo era da designer ma strizzava sempre l’occhio allo styling, perché ho sempre ragionato sul mettere insieme il look più che a realizzare il singolo capo. Nel tempo ho seguito vari personaggi, alcuni li ho tutt’ora. I più forti come impatto mediatico sono Levante, Olly, La Rappresentante di Lista, Ermal Meta, Ditonellapiaga. Ho collaborato con riviste e anche con altri talent, per esempio mi è capitato di vestire Tiziano Ferro. Sono state tutte esperienze formative!
Lorenzo Oddo e Levante
Quando hai capito che questo lavoro era quello giusto per te?
Quando ho iniziato a lavorare con Levante, nel creare l’immagine mi sono concentrato su tutto e non solo sui vestiti. Come fare i capelli, il trucco, le scarpe… in che ordine mettere i looks. Insomma ho avuto un approccio che virava decisamente verso lo styling.
Parlando di Sanremo, alla kermesse hai vinto un po’ anche tu vestendo Olly. In generale, che stile avete scelto di abbracciare?
Seguo Olly dal giorno zero, prima ancora del suo Sanremo giovani di tre anni fa. Si è creata via via una conversazione molto profonda, abbiamo indagato su quello che lui voleva trasmettere e sul come. Cosa che io comunque amo fare con tutte le persone con cui lavoro. Il mio è un approccio antropologico, più che prettamente estetico. Non mi piace quando si pensa che uno stylist faccia mettere dei vestiti e basta. Per me c’è sempre un pensiero molto profondo dietro.
Quindi avere o ricercare un’affinità con l’artista è molto importante…
Assolutamente. Anche con i nuovi clienti faccio sempre delle lunghe chiacchierate, per capire quanto si è allineati. Non tanto in termini di gusto, ma di approccio. Tornando ad Olly, è una persona molto bella ed educata. All’inizio abbiamo scardinato un po’ quelle che erano le sue abitudini nel vestirsi. Ricordiamo che lui viene dal mondo dello sport. Con lui comunque non abbiamo mai scelto un look solo perché “fa moda”. Abbiamo sempre ragionato su quello che lo faceva stare bene e che rappresentasse quello che lui voleva comunicare, ragionando su quale potesse essere la base di partenza di pezzi che idealmente e fisicamente potevano essere nel suo armadio, con proporzioni che lo valorizzassero. Si può cambiare direzione in maniera decisa e precisa se c’è una volontà che non parte solo dall’estetica fine a se stessa ma, per esempio, dal modo di raccontare il disco o da una sensazione emotiva. Questo per me vince come metodo e negli anni mi ha sempre premiato. Con Olly a Sanremo abbiamo lavorato con un maestro, cioè Giorgio Armani. Abbiamo esplorato la sintesi estremizzata di quello che a lui piace. Concentrandoci su una leggera sproporzione tra il sopra e il sotto, rielaborando il concept di twinset da donna e declinandolo a uomo. Abbiamo esplorato il denim, il pantalone un po’ flare che guardasse agli anni ’70, sempre con un tocco sartoriale. Abbiamo lavorato molto sulla maglieria, sulle canottiere che è un po’ un elemento che mi rappresenta. Ironicamente più persone mi ricordano spesso: «tu alla fine metti tutti in canottiera». Ed è vero in parte! Ci sono dei capi e delle estetiche che per me vincono: le donne per esempio se hanno la bocca rossa e l’eyeliner fanno sempre centro, non sbagliano.
E per il suo tour avete ripreso questo stile?
Le proporzioni sono rimaste invariate come il concetto del denim. Abbiamo però lavorato a tutta una storia di looks custom made con vari brand che sono Armani, Moschino, Dsquared2, Fendi e Msgm. Il risultato è una narrazione che secondo me è molto bella da raccontare: quella di lasciare alle firme la libertà di esprimersi ma all’interno di un recinto, cioè l’estetica dell’artista. Anche con Levante era successa una cosa simile nel tour di due anni fa. In quel caso è stato ancora più grande perché c’erano anche più date e poi con una donna ci si può sbizzarrire di più, c’è più libertà. Avevamo fatto 24 date con altrettanti marchi diversi ma che reinterpretavano uno stesso concept. Nel caso di Levante era la camicia e una culotte. Per Olly invece, nel suo tour appena concluso, avevamo chiesto di ripensare la T-shirt, a cui abbiamo “tagliato le maniche”, un po’ dal sapore vintage, il pantalone zampatissimo e un boots. Ognuno dei brand ha inserito la propria creatività in queste forme, andando a personalizzarle. Alcuni top avevano delle scritte pensate insieme a Olly. Nulla è stato lasciato al caso. Il risultato è che l’artista non sembra un manichino vestito da chiunque e soprattutto il fatto che c’è una coerenza d’immagine splendida.
C’è un capo e un accessorio di cui Olly non può fare a meno?
Oggi ti direi il denim. Poi lui ha una catenina d’oro con una medaglietta e dei guantoni da pugile.
Se avesse scelto di partecipare all’Eurovision cosa avremmo visto sul palco?
Avreste visto l’evoluzione 2.0 di quello che è stato a Sanremo o molto più semplicemente di quello che sta facendo ora nei club. La “dimensione palco“ per lui si muove attraverso dinamiche precise e lineari. Ci deve essere ovviamente un po’ di estetica, ma vince anche la comodità e il “come lui ama sentirsi“.
Con alcuni artisti esplori di più che con altri a livello estetico. Quale è stata la volta in cui hai giocato di più?
Per gli uomini, con Dario de La Rappresentante di Lista. Con lui si indaga tutto il mondo queer che banalmente non si riesce a fare con altri. Dario è la persona più estrosa, è secondario il concetto di guardaroba da donna o da uomo. Con lui si guarda cosa ci piace. Levante poi non ha regole.
Gli imprevisti a volte capitano. Come si risolve un’emergenza di styling?
Con super organizzazione! Ho sempre dietro un kit con ago e filo, che comunque salva in certi casi.
Come è una giornata da Stylist
Ho la fortuna di poter gestire il mio tempo. Non ho una giornata tipo, però io non rinuncio alla palestra. Dopo si parte con il resto, che può essere creare un moodboard per una campagna, uno shooting, o contattare i brand che ti possono dare ciò di cui hai bisogno. Oppure ho meeting, appuntamenti… molto spesso mi occupo anche di direzione creativa. Per esempio se siamo in fase di uscita di un disco si ragiona sulle persone da coinvolgere, sulle cromie da usare, sul fotografo, dove scattare ecc…
La ricerca è quindi un aspetto molto importante nel tuo lavoro…
Assolutamente. Io ne faccio moltissima. Per me la ricerca è lo step zero, ciò da cui parte tutto.
Come è orientarsi nella moda e rapportarsi con i brand quando si assiste a un continuo cambio di direzioni creative? Quali sono le difficoltà in cui si può incorrere?
La difficoltà sta nel fatto che i brand secondo me a volte sono impauriti, per questo si fa fatica in certi casi a confrontarsi con loro. Perché il concetto è un po’ quello del “non correre nessun rischio”
Non avendo nessun contatto, come si chiede a un brand la disponibilità di vestire un artista che si segue?
Negli ultimi anni, soprattutto tra le nuove generazioni, c’è un’attenzione in più; si fa molta più squadra. A mio avviso è una cosa umanamente bellissima. Ci si supporta di più! Se chiedi aiuto, trovi in gran parte dei colleghi una mano tesa e quando succede è stupendo. Non è scontato! È un aspetto positivo, secondo me. Ti ritrovi con delle persone che hanno capito che non è una gara questo lavoro, non siamo uno contro l’altro. Metto sempre molta umanità in quello che faccio e credo che questo ripaghi sempre.
Un pro e un contro del tuo lavoro?
Il pro è sicuramente il gioco di squadra, l’umanità. Il contro è molto concatenato al pro; direi quando le persone si prendono troppo sul serio. Non ti rispondono alle mail o lo fanno sminuendo un po’ il tutto. Il menefreghismo rispetto alle esigenze altrui, trovo che sia discutibile.
Sul tuo profilo Instagram ci sono alcune immagini con Kurt Cobain e altre con riferimenti al sacro. Cosa vogliono dire per te?
Io vengo da Palermo ed è per me un po’ quel sacro e profano, è normale confrontarmi con la sacralità e tutto quel mondo. Poi certo mi affascina, lo sento in qualche modo mio. Per appartenenza e perché mi piace coltivarlo. Sono uno che va in giro per mercatini, ho tatuaggi a tema religioso, ho Santa Rosalia tatuata sul petto, mi piacciono le Madonne. Era inevitabile che questo aspetto finisse anche su IG. Io poi sono anche una persona timida rispetto alla media ed è stato un po’ strano dover aprirmi a Instagram. Prima il mio profilo era privato. Ero un po’ geloso di questo mio mondo, anche se ora il concetto di diario l’ho perso. Un po’ per tempo e un po’ a causa di questa apertura nel rendere pubblico qualcosa che avevo sempre vissuto come intimo. E poi Kurt Cobain, Amy Winehouse… ci sono poi delle ossessioni che in qualche modo mi nutrono.
Cosa vuol dire secondo te fare moda oggi da stylist e da designer?
Penso che le due cose non siano mischiabili. La mia formazione mi ha aiutato a lavorare meglio in questo mondo e in questo momento, perché vedo tanta approssimazione. Invece io credo che la moda sia disciplina, sia studio, curiosità. Il mio approccio allo styling non è mettere solo dei vestiti addosso a qualcuno. Non lo è mai stato e mai lo sarà.
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