Il debutto di Glenn Martens da Maison Margiela
STYLE
10 Luglio 2025
Articolo di
Michela FrauIl debutto di Glenn Martens da Maison Margiela
«Farà un bel po’ di rumore», aveva dichiarato Glenn Martens a Vogue, pochi giorni prima dell’attesissimo show, a proposito della prima collezione Artisanal da lui firmata in veste di nuovo direttore creativo di Maison Margiela. E così è stato. Chiuso il capitolo Demna da Balenciaga, in trepidante attesa il mondo della moda si è diretto al numero 5 di Rue Curial, in quello spazio che un tempo fu uno dei centri funebri della città (oggi divenuto centro culturale) e che nel 2008 ospitò l’ultimo (non dichiarato) show ideato da Monsieur Margiela in persona, il quale solo anni dopo rivelò ufficialmente di aver lasciato la guida creativa del marchio da lui fondato.
Ora, diciassette anni dopo– tra il pavimento a scacchi e le pareti tappezzate di stampe trompe-l’œil– in quello stesso spazio, la cui sacralità viene scandita dal rintoccare delle campane, viene svelata la prima prova di Glenn Martens.
Come in una cerimonia di rinascita, a tratti cupa e a tratti romantica, sfilano le quasi cinquanta creazioni couture immaginate dallo stilista belga che, esattamente come il fondatore – con il quale condivide, tra l’altro, formazione e origine geografica – pone al centro gli abiti. Non ci è dato conoscere chi si cela dietro le maschere, simbolo della storia del marchio ed emblema di quell’aria di mistero e anonimato che ha contraddistinto l’approccio di Martin Margiela al mondo della moda, in una strada ora percorsa dallo stesso Martens, che come lui, non esce alla chiusura dello show.
Ma le maschere, siano esse incrostate di gioielli o velate, tenute ferme da imponenti e preziosissimi choker barocchi, non sono l’unica citazione all’heritage della maison oggi parte del gruppo Otb. Esattamente come il fondatore, Martens ha giocato con i contrasti tra i diversi materiali (spesso di recupero e provenienti da mondi differenti), tra l’opulenza e la povertà, tra l’alto e il basso, tra la robustezza e la pesantezza della pelle patchwork usata per le giacche da moto e la leggerezza impalpabile degli abiti velati che enfatizzano l’anatomia del corpo. Tra i colori corposi e pieni delle creazioni che omaggiano le pennellate di Gustave Moreau, e la trasparenza e assenza di colore del vinile dei primi look proposti in passerella.
Il risultato è una collezione drammatica, pervasa da un non so che di spettrale ma altrettanto romantico, che trae ispirazione dall’architettura e dall’atmosfera medievale delle Fiandre e dei Paesi Bassi. Come si ritrova anche nella verticalità e nei volumi, quasi affilati e assottigliati, degli abiti che ricordano le statue e le strutture gotiche. Insomma, il debutto di Martens – che già nel 2022 aveva lavorato alla couture di Jean Paul Gaultier – non ha disatteso le aspettative, ma ha piuttosto confermato quanto Renzo Rosso abbia fatto bene a scommettere sul talento dello stilista, a cui ha affidato prima le sorti e la rinascita della sua Diesel, e a cui ora consegna il futuro del brand cult.
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