Quando Elsa Schiaparelli trasformò la moda in arte insieme a Dalí
STYLE
17 Luglio 2025
Articolo di
Camilla Bordoni
Quando Elsa Schiaparelli trasformò la moda in arte insieme a Dalí
Siamo reduci dalla sfilata haute couture di Schiaparelli e, sebbene siamo certi di concordare tutti sul fatto che l’odierno direttore creativo Daniel Roseberry sia il figlioccio perfetto della casa, dobbiamo riconoscere alla sua omonima fondatrice Elsa Schiaparelli di esser riuscita a trasformare la moda in arte.
Ed è qui che la questione si fa interessante, perché in questa storia c’è il nome e la presenza importante di Salvador Dalí. Non esageriamo nel definire l’unione tra i due come una delle alleanze più iconiche e dissacranti della storia della moda, un sodalizio in grado di unire la ribellione estetica del tempo con il coraggio trasformista del surrealismo.
D’altra parte non ci si dovrebbe stupire quando si scopre che fu proprio Elsa ad andare “contro” le sue nobili origini, a scardinarsi dalla fissità delle regole aristocratiche imposte per discendenza sanguinea dichiarando apertamente i suoi intenti: «Avevo un pensiero fisso in testa: salvarmi dalla monotonia della vita di salotto e dall’ipocrisia borghese. Per le mie idee d’avanguardia venivo considerata una folle». Prima però di essere considerata una sovversiva, oltre che la diretta rivale di Coco Chanel, Elsa provò ad intraprendere diverse strade; ma fu l’incontro fortuito con la moglie dell’artista dadaista Francis Picabia ad aprirle gli occhi sul suo destino, un futuro dove moda e arte sarebbero stati un unicum narrativo, una costante della sua vita.
Il trompe-l’oeil, l’optical, il famosissimo rosa shocking, il sole dorato e molto altro sono entrati nei libri di storia, ma nei volumi che parlano del passato di Elsa non mancano certo i paragrafi dedicati alla conoscenza di Dalí avvenuta intorno al 1934. Considerato in un certo senso il suo doppio; visionario come lei, audace come lei, genio come lei. Dal loro lavoro a quattro mani di fatto nacque un’irriverente dichiarazione d’arte fatta di capi destinati a essere ricordati ma soprattutto a durare più dell’epoca in cui vennero concepiti.
L’eredità del surrealismo modaiolo? Creazioni leggendarie da standing ovation
Molti identificano come prima effettiva prova della complicità tra Schiaparelli e Dalí il famoso “abito aragosta”. Non preoccupatevi ci arriveremo, ma a dir la verità un principio di “collaborazione” tra i due prese forma nel 1935, quando l’artista spagnolo progettò per la designer “Dial Telephone”, un porta-cipria a forma di quadrante telefonico, un oggetto sintesi di estetica e provocazione, dove il quotidiano si trasformava in accessorio couture. Il corteggiamento artistico continuò poi nel 1936 con il “Drawer Suit” ideato da Elsa, ovvero un completo con tasche a forma di cassetti che si ispirava liberamente all’opera di Dalí “Anthropomorphic Cabinet”.
Il leggendario “Lobster Dress” arrivò invece nel 1937 con un abito in organza di seta bianca su cui troneggiava una gigantesca aragosta rossa disegnata, e concettualizzata, direttamente da Dalí, un animale di cui in quegli anni l’artista era particolarmente affezionato viste le sue opere “Lobster Telephone” e “New York Dream-Man Finds Lobster in Place of Phone”. Un vestito che superò ogni limite di bon ton? Chissà, il fatto curioso è che tutto partì da Wallis Simpson che, per le sue nozze con l’ex sovrano di Inghilterra Edoardo VIII, aveva chiesto espressamente alla stilista un abito per il suo corredo di nozze.
A prescindere, la creazione divenne un fashion piece degno di essere considerato cult. D’altronde per Schiap (come amava farsi chiamare Elsa): «Un abito non è solo stoffa: un abito è un pensiero». Mentre Dalì affermava che: «Come le aragoste, le ragazze hanno un aspetto delizioso. Come le aragoste, diventano rosse quando le prepari da mangiare». Allora che dire se non, chapeau.
A proposito di cappelli, nel 1937 la coppia diede vita a un altro capolavoro. Si tratta del “Shoe Hat”, il famoso copricapo a forma di scarpa che a seconda dell’angolazione poteva dare l’impressione di cambiar forma. Ci furono altre sperimentazioni che evidenziarono e sottolinearono quella simbiosi squisitamente estetica tra Elsa e Salvador; come lo “Skeleton Dress” e l’abito a strappo “The Tear dress”, che voleva rievocare le stesse lacerazioni e impressioni del dipinto “Tre giovani donne surreali che tengono nelle loro braccia le pelli di un’orchestra”.
Un’eredità timeless
Ciò che rende il connubio Schiaparelli–Dalí così affascinante è sì la capacità di trascendere il tempo, ma soprattutto il culto dell’inaspettato, quella singolare deformazione del quotidiano in grado di creare una sintonia audace tra moda e arte. Un’intesa ancora oggi portata avanti dal marchio grazie a Daniel Roseberry che ne ha raccolto l’eredità, plasmando il suo “sense of style” sull’heritage storico della maison fatto di codici, usi sartoriali e tagli così singolari da non poterli non prendere in considerazione.
L’oro, il sole, gli occhi, le bocche… semplicemente il surrealismo è ormai la grammatica della griffe senza la quale forse non avrebbe altrettanto successo. Anche se, probabilmente, il vero segreto della fama di Schiaparelli è quello di aver dato una forma al caos, di aver reso tangibile il sogno e l’irrazionale sensazionale, disciplinato e indossabile. Senza però mai privarlo del suo significato, artistico o estetico, alla Dalí.
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