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27 Agosto 2025

Articolo di

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Michela Frau

Qual è il prezzo di essere CEO?

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27 Agosto 2025

Articolo di

Michela Frau
CEO prezzo Jacopo Venturini Alessandro Michele
Valentino

Qual è il prezzo di essere CEO?

Potere, prestigio e autorevolezza: ma a quale prezzo? Dopo i rumor che si sono susseguiti negli scorsi mesi, la notizia è stata ufficialmente confermata dalla maison: l’ormai ex CEO Jacopo Venturini ha lasciato Valentino dopo averlo traghettato, negli ultimi cinque anni, attraverso le sfide della pandemia, la crisi del lusso e un importante cambio di direzione creativa affidata ora alla visione di Alessandro Michele. La decisione sarebbe stata dettata dalla volontà del manager di prendersi una pausa per motivi personali, dopo che nei mesi precedenti si era parlato di un lungo congedo per malattia (secondo alcuni più vicino al burnout), che parrebbe correlato a un clima aziendale tutt’altro che roseo (come messo in luce da un articolo pubblicato da Il Foglio il mese scorso). A occupare il posto lasciato vacante da Venturini sarà Riccardo Bellini, ex managing director di Mayhoola (con esperienze in Maison Margiela, Chloé e Diesel), che dal primo settembre prenderà in mano le redini del brand.

Ma il divorzio tra la maison di Mayhoola e il manager, ufficializzato tramite un breve comunicato rilasciato a ridosso di Ferragosto, è solo l’ultimo tassello di un frenetico turnover che dai direttori creativi si è esteso travolgendo anche i vertici aziendali. Mentre Kering attende con trepidazione l’arrivo del nuovo CEO Luca De Meo, chiamato a studiare una ricetta che possa risollevare le sorti di Gucci – un tempo marchio che trainava il fatturato del gruppo francese, attualmente immerso in una crisi profonda e duratura – Gianfranco D’Attis ha lasciato l’incarico di amministratore delegato del brand Prada. Rapporti tesi con la proprietà, secondo quanto riportato da una fonte a WWD, potrebbero celarsi alla base della decisione di rinunciare all’incarico dopo solo due anni e sette mesi dalla nomina. È durata invece solo sei mesi l’esperienza di Serge Brunschwig ai vertici di Jil Sander. Un mandato lampo conclusosi lo scorso luglio per «motivi di carattere personale».

A questo si aggiunge poi la notizia riportata da Miss Tweed, secondo cui il CEO di Louis Vuitton Pietro Beccari stia soffrendo di una profonda stanchezza, «qualcosa che assomiglia a un burnout», come afferma la pubblicazione francese considerata una fonte autorevole. D’altronde, avere il timone del primo brand di LVMH non è una responsabilità da poco che, seppur tamponata da compensi stellari gonfiati da extra, pacchetti azionari, buonuscite e, ancor prima, da bonus di ingresso (pari a 20 milioni quello percepito da Luca De Meo, come messo in luce da Panorama), non può che avere un impatto sulla vita privata. O addirittura sulla salute, qualora le cose non stessero andando come sperato.

Luca De Meo nuovo CEO Kering

Luca De Meo, Kering

Innumerevoli le mansioni e le responsabilità, come sono altrettanto innumerevoli le pressioni. Il CEO, a cui spetta il compito di coniugare visione creativa e strategia commerciale, deve possedere e mettere in campo competenze analitiche e operative che favoriscano la creazione di un ambiente di lavoro in cui la creatività possa prosperare e poi tramutarsi in numeri, vendite e ricavi. In alcuni casi, quando un marchio è immerso in una situazione di difficoltà, gli amministratori delegati devono saper invertire la rotta, restaurare una cultura aziendale compromessa, ripristinare la rilevanza culturale di un brand e ristrutturare comparti aziendali, il che si traduce spesso nella necessità di dover prendere decisioni difficili (tagli del personale compresi). La resilienza è quindi una dote essenziale.

Una serie di mansioni fondamentali per il successo di un brand, tanto che secondo una ricerca di McKinsey & Company, quasi la metà della performance di un’azienda è legata alla leadership del CEO. Correlazione che in parte spiega i compensi stellari, ulteriormente gonfiati in un momento che la posta in gioco è sempre più alta. Esattamente come accade per i designer, qualora i risultati non siano quelli sperati, i dirigenti sono tra i primi a perdere il posto di lavoro (il che potrebbe avere ripercussioni sulla loro reputazione e influenzare, quindi, inevitabilmente anche il futuro lavorativo). Un po’ come avviene per gli sportivi, la loro carriera è sempre più corta e sempre più pagata.

A differenza di quanto accade con i ricavi dei brand, che fluttuano in base al contesto storico, negli ultimi anni i compensi dei CEO hanno continuato a salire. Secondo lo studio condotto annualmente da WWD sugli stipendi di quasi 50 delle più grandi aziende statunitensi quotate e attive nel mondo della moda, 25 dirigenti hanno ottenuto retribuzioni superiori ai 10 milioni di dollari nel 2024, cresciute complessivamente di circa il 23,5% rispetto all’anno precedente. Una cifra, in alcuni casi, da rivedere assolutamente al rialzo (come nel caso di David Simon, presidente e CEO del Simon Property Group, principale proprietario di centri commerciali negli Stati Uniti, che ha portato a casa un pacchetto retributivo, compreso di azioni, pari a 61,3 milioni di dollari).

Minori ma altrettanto significativi, i compensi ricevuti dai manager italiani. Secondo quanto riportato da Panorama, a Luca De Meo per il suo nuovo incarico da Kering spetterà un compenso fisso annuale lordo di 2,2 milioni, a cui si sommerà, nel caso venissero raggiunti gli obiettivi, un bonus pari al +220% di tale somma, ossia 4,8 milioni lordi. A questi si aggiungeranno poi ulteriori voci, per un totale netto di circa 7,8 milioni di euro l’anno, quasi pari quindi agli 8 milioni di euro netti che Marco Bizzarri riceveva per il suo incarico da Gucci.

Marco Bizzarri Ex CEO Gucci

Marco Bizzarri, Piotr Niepsuj/Gucci

A guadagni di tale portata spesso corrispondono impatti altrettanto rilevanti sulla dimensione privata. Uno studio di Global Advance in Helth and Medicine ha rilevato che il 64% dei dirigenti aziendali soffre di stress correlato al lavoro, una percentuale molto più alta rispetto alla popolazione generale. Secondo il Wall Street Journal invece, nel 2023 oltre 1.900 CEO hanno lasciato l’incarico e 19 sono deceduti in servizio. Tra i restanti, come emerge da uno studio Deloitte, l’82% soffre di burnout e il 96% lamenta un peggioramento della salute mentale. Il tutto, oltre ad aver ripercussioni pesanti per la salute, impatta poi anche su tutto il team e di conseguenza sull’andamento del brand.

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