Dentro la maison di Jean Paul Gaultier: tra architettura, eccesso e seduzione
STYLE
22 Agosto 2025
Articolo di
Eleonora SergiDentro la maison di Jean Paul Gaultier: tra architettura, eccesso e seduzione
Moda e architettura si rincorrono come amanti instancabili nel quartier generale di Jean Paul Gaultier, l’enfant terrible della moda. La pelle storica di questo palazzo sostiene un racconto sempre in mutazione e oggi ospita la maison parigina che ha reinventato la marinière couture.
Nato nel 1912 come palazzo della Mutualité e abbandonato negli anni ’90, l’edificio rinasce nel 2004 grazie alla metamorfosi voluta da Gaultier. «Un luogo in cui le donne siano belle». Basta questa frase, pronunciata da Jean Paul Gaultier con la naturalezza di chi detta un assioma, per mettere in moto la macchina creativa. Gli architetti Alain Moatti & Henri Rivière, allora perfetti estranei all’universo couture, ricevono l’invito e si tuffano senza esitazione. Venti giorni di tempo, una scadenza che non ammette esitazioni. Rispondono non con una pianta, ma con un mondo. Due ossessioni li guidano: rianimare la bellezza sopita di un palazzo ottocentesco, sontuoso ma immobile, e catturare quell’“estetica dell’eccesso” che definisce l’anima del designer.
L’intervento degli architetti è una partitura di contrasti calibrati: muri avorio e piastrelle “métro” grigio metallico accendono il nero lucidissimo del pavimento in resina — un lago di riflessi dove a specchiarsi sono solo i colori degli abiti. Sopra, tre grandi verrières adottano una tecnologia a “cuscini” d’aria trasparente che trasformano la sala delle feste in una scatola di luce contemporanea.
Al primo piano, immense vetrate semicircolari sormontate da mascarons scolpiti; al secondo, la pietra ondeggia simulando tre bovindi. Le ringhiere in ferro battuto, disegnate con minuziosa cura, portano la firma di Henri-Paul Hannotin, così come la balaustra della scala interna.
La scelta delle finiture — dal nero lucido alle cromie neutre — spinge l’abito in primo piano; le grandi vetrate alleggerite dalle tecnologie a film plastico disegnano un overhead morbido, ideale per profili, pizzi e ricami che richiedono luce “pura”. È architettura-display, ma senza gimmick: coerente col credo di Gaultier, a metà strada tra misura e démesure. Gli specchi monumentali e i lampadari di cristallo appiattito disegnati da Hervé Audibert completano l’iconografia: teatralità sì, ma con mano leggera.
Il quartier generale si comporta come una collezione: cambia luce e ritmo, assorbe la città, rimette in circolo la storia per farne moda. E quando, salendo, lo sguardo incrocia i tetti, la promessa iniziale si compie: Parigi diventa parte del look.
Il gioiello assoluto è l’ex sala da ballo, con la sua volta sottile in cemento, pionieristica per l’epoca.
Qui, il pavimento in resina nera lucida trasforma la superficie in uno specchio dove si riflettono luci, silhoutte e perfino il cielo di Parigi catturato dalle tre vetrate zenitali restaurate e rivestite con cuscini gonfiabili in Efte, materiale high-tech leggerissimo e cristallino.
E poi, nel cuore del palais, il couture salon che ancora custodisce l’eco di una delle più memorabili convergenze tra avanguardia e pop, un tête-à-tête divenuto leggendario. Su quel divano color crema firmato Philippe Starck, Lady Gaga nel 2011 siede accanto a Gaultier per l’intervista “Gaga by Gaultier”, tra schizzi sartoriali e confessioni intime.
È come entrare in un sogno tattile. La luce, filtrata dal soffitto vetrato, è fredda e perfetta e scolpisce ogni rilievo creando un’atmosfera di sospensione. Le pareti, interamente rivestite di un bianco lattiginoso, sembrano pelle tesa da cui affiorano, come presenze trattenute, cornici, lampade e volute. Le forme non sono appoggiate: premono da dietro, evocando una tensione latente.
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