Come si sceglie il protagonista giusto per una campagna di moda?
STYLE
24 Luglio 2025
Articolo di
Camilla Bordoni
Come si sceglie il protagonista giusto per una campagna di moda?
“Kylie Jenner nella nuova campagna Fall di Miu Miu”; ormai il web è pervaso da questo titolo che, come gli insider sapranno, nasconde una certa dose di polemiche circa la scelta del brand che di fatto non ha convinto i social. Eppure, tralasciando il dibattito riguardo una presunta mancata alchimia tra l’accattivante Kylie e il brand girlish italiano e considerando solamente il buzzing generato, quanto è successo ci ha fatto pensare: ma come si sceglie il volto giusto per una fashion campaign? Quali sono i main points e le strategie da considerare per vincere l’algoritmo e conquistare l’attenzione del fashion system?
Sicuramente la scelta del testimonial per una campagna non si limita ad essere un freddo casting: è una tattica sottile che mira al posizionamento, mantenendo intatta l’identità e l’appeal culturale della griffe di riferimento. D’altro canto, il volto selezionato deve in qualche modo incarnare e riflettere quelli che sono i valori e l’estetica del brand, in modo da abbracciare (o almeno darne l’impressione) un authentic alignment, apparendo così immediatamente riconoscibile. Casi di successo ce ne sono stati diversi; chi più controverso e chi meno, certo, ma d’altronde una parte dell’obiettivo è sempre quella di far parlare di sé, magari diventando virale.
Quindi che dire, forse nel bene e nel male, anche quest’ultima campagna di Miu Miu con Kylie Jenner non può essere considerata un flop, soprattutto quando la label di riferimento si è sempre mossa su un terreno concettuale e iper-femminile.
Il vademecum della “buona” fashion adv
Come abbiamo anticipato, la coerenza tra volto e brand dovrebbe essere la prima buona regola da prendere in considerazione. Miu Miu, prima di Kylie Jenner, ha puntato su icone di una generazione social-first come Emma Corin, Sydney Sweeney, Bella Hadid o Mia Goth per parlare direttamente a un target giovane, ma anche altri brand hanno aderito al sopracitato authentic alignment. Saint Laurent per esempio lo ha ampiamente condiviso scegliendo come propri volti Zoë Kravitz, Michelle Pfeiffer e Christopher Walken, tutte personalità che in qualche modo riflettono l’animo glamour e vagamente rock’n’roll della griffe.
Allo stesso modo possiamo fare un discorso analogo con il nuovo Dior di Jonathan Anderson che, per lanciare ufficialmente il suo debutto alla casa, ha scelto il calciatore francese Kylian Mbappé come ambassador per sottolineare la sua personalissima visione etica-estetica di moda sotto la casa della controllante LVMH.
Altri fattori che sarebbe bene tenere a mente nella scelta di un volto per una campagna potrebbero essere la riconoscibilità e la viralità. Per quanto riguarda il primo, il motto è che il protagonista deve in un certo senso “bucare” l’immagine. La scelta di un personaggio noto risulta essere ottimale oltre che un investimento quasi sicuro dal momento che genera engagement aumentando la memorabilità del prodotto mediatico. Per capire meglio, ricordate l’adv di Bottega Veneta con Jacob Elordi? Ecco, il senso è proprio quello.
Il secondo aspetto, pur restando strettamente collegato al precedente, si riferisce più al rumore mediatico generato e la capacità di creare conversazione online e offline. Quindi, a tal proposito, come non citare la campagna con Jeremy Allen White targata Calvin Klein? L’attore di “The Bear” risultò il perfetto soggetto in grado di incarnare l’eleganza sportiva quotidiana, senza sforzo/sfarzo ma con allure e una pioggia di commenti sui social (un successo replicato anche con Bad Bunny, ndr). Attenzione però, la viralità non per forza implica la presenza di un volto famoso. Jacquemus lo ha dimostrato parecchie volte, soprattutto agli “inizi”, quando su IG la protagonista della sua brand communication era sua nonna Liline.
Infine, gli ultimi due aspetti su cui il team di un marchio dovrebbe riflettere prima di fare la propria scelta sul main character della campagna potrebbero riguardare l’adattabilità del soggetto al racconto visivo che la label vuole trasmettere, come per intenderci ha dimostrato Alessandro Michele quando da Gucci scelse come ambassador personalità artistiche quali Miley Cyrus, Harry Styles, i Måneskin o Billie Eilish, e la capacità di attrarre un target ad ampio spettro.
Su quest’ultimo punto, considerevoli sono gli esempi di adv forniti dal Balenciaga di Demna con Isabelle Hupper e Nicole Kidman, da Loewe con le campagne griffate da Josh O’Connor e Jamie Dornan, ma anche dalle ultime adv di Chanel che vedono la celebrazione vecchio stile della coolness della ragazza dalla doppia C grazie alla presenza di Dua Lipa o della cantante belga Angèle.
Il volto giusto moltiplica l’engagement
Alla luce di ciò, gli aspetti che abbiamo preso in considerazione possono coesistere in maniera simultanea all’interno della strategia comunicativa commerciale di un brand e, almeno sulla carta, sarebbero in grado di trasformare una campagna in un hot topic, aumentando significativamente sia il media impact value, sia le vendite online e in boutique. La community di una firma unita talvolta alla fanbase di un volto noto può effettivamente dare risultati stupefacenti ma non si deve mai dimenticare il dettaglio della “coerenza” valoriale e visiva, senza la quale l’effetto potrebbe risultare dissonante. Anche se, in certi casi, lo scandalo/polemica/dibattito controllato può ugualmente funzionare, se gestito con intelligenza pragmatica e culturale.
Quindi per scegliere il volto giusto per una campagna adv di moda ci sono delle strette regole da seguire? No, dal momento che il piano di comunicazione non è fisso ma risulta essere influenzato sia dalla società (cultura, usi, costumi e gusti), sia anche dalla direzione creativa che intende abbracciare una griffe. Ad ogni modo l’obiettivo è sempre e solo uno: rendere ogni campagna un manifesto visivo credibile e riconoscibile a primo sguardo con l’aiuto di un volto che non è mai solo un volto. D’altra parte l’accoppiata Benetton x Oliviero Toscani insegna che una campagna, se ben studiata, non ha bisogno di troppi orpelli per diventare leggenda.
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