STYLE

18 Marzo 2024

Articolo di

string(15) "Camilla Bordoni"
Camilla Bordoni

Cosa c’entra la moda con lo spazio?

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18 Marzo 2024

Articolo di

Camilla Bordoni
Zendaya Mugler Spazio Moda
Mugler

Cosa c’entra la moda con lo spazio?

Spazio, stelle e pianeti possono avere una (cor)relazione con la moda? La risposta è sì e non serve andare, come direbbe George Lucas, in una galassia lontana lontana per scoprirlo. Perché la liaison tra fashion e space ha tutte le carte in regola per trasformarsi in una lunghissima storia d’amore e, a dirla tutta, con molte più probabilità di decollare di un match a caso su una app di dating.

Il mistero, il fascino dell’ignoto e persino il vuoto cosmico hanno influenzato i designer di epoche e stili differenti. Tra tutti infatti non possiamo non ricordare Pierre Cardin e André Courrèges, ma anche Paco Rabanne, Iris Van Herpen, Mugler, McQueen, Comme des Garçons, Chanel, Diesel e molti altri.

Di esempi di collezioni e capi che hanno fatto la storia ce ne sono diversi, qui però non vogliamo soffermarci prettamente su come gli stilisti del passato abbiano preso ispirazione dallo spazio per le loro linee. Il punto della questione è un altro e, in realtà, ci mette davanti a una sorta di orizzonte degli eventi patinato, dove è la moda a fornire una innovativa chiave di lettura della sua stessa essenza non con i soli capi ma con investimenti e partnership da milioni di dollari.

Moda e spazio: Huston non c’è problema

Fino a qualche anno fa se in una conversazione si mettevano legati moda e spazio le argomentazioni che saltavano fuori erano più degne di un film di Steven Spielberg o vicine alla fantascienza che a discorsi dimostrabili con esempi concreti. Purtroppo non sono bastate le creature aliene di Thierry Mugler o le tute cyber di Givenchy anni 2000 per far sfoggiare a tutti la moda alla Futurama che vedevamo sul grande e piccolo schermo. L’umanità d’altronde non era pronta e, sad true story, presumibilmente non lo sarà ancora per molto tempo perché per quanto si possano lanciare sul mercato creazioni “space age” degne di nota queste non venderanno.

La loro durata di vita si limita a essere direttamente proporzionale a una passeggiata sul red carpet (con pausa al photobooth, ovviamente). D’altra parte è più facile salire sul tram delle 7 del mattino con un outfit minimal piuttosto che con un abito che cambia, si muove e ondeggia da solo. Ma quindi oggi cosa è cambiato se ancora la moda risulta intrappolata in un loop di autoreferenzialità? Semplicemente l’approccio.

Il fashion non guarda meramente all’intergalattico come un trend da proporre al consumatore, bensì lo intende come un terreno sui cui sperimentare. Quando infatti il tradizionale segmento abbigliamento non permette eccessivi colpi di testa per ragioni intrinseche che interessano il marketing e i consumi, le case di moda iniziano a mettersi alla prova investendo nel segmento aerospaziale. Un settore enorme che invero è in grado di permettere stanziamenti di budget considerevoli riguardo lo studio di tecniche high tech, l’implementazione di nuovi materiali, lo sviluppo di dispositivi indossabili intelligenti e di tutte quelle tecniche di design ritenute ancora non socialmente fatturabili.

Per capire meglio, ad abbracciare questa strategia è stata Prada che dopo il successo di immagine (e non solo) avuto con Luna Rossa durante l’Americans Cup ha deciso letteralmente di sbarcare sulla luna. Sì, di tessuti performanti il marchio già se ne occupava da tempo, ma la partnership siglata con Axiom Space permetterà alla casa di moda di portare il suo heritage se non su un altro pianeta (never say never) almeno su un altro livello. In concreto, la collab riguarda la realizzazione delle nuove tute NASA, destinate a essere indossate durante la prossima missione lunare Artemis III prevista per il 2025.

L’obiettivo della fashion house è chiaro e non è tanto quello di accaparrarsi un primato, visto che a firmare la prima spacesuit (proprio quella di Neil Armstrong) era stata la Playsuit, griffe nota per la produzione di reggiseni. Perciò, piuttosto, il fine è quello di sfruttare e mettere in campo la propria abilità tecnica vendendo così, seppur marginalmente, un sogno.

E se l’industria aerospaziale volesse essere alla moda?

Chiariamo subito che quando si tratta di sodalizi del genere non c’è solamente di mezzo l’amore per la ricerca ma un piano business che giovi ad entrambe le parti in gioco. Spazio e moda diventando l’uno la narrazione dell’altro possono aumentare il proprio capitale. Perché da una parte il segmento scientifico acquisisce più attrattività andando auspicabilmente a sedurre quei portafogli del lusso in cerca di nuove frontiere su cui mettere le mani; dall’altra i marchi possono cimentarsi in format all’insegna della couture culture e della divulgazione scientifica.

Così ecco che la combo che nessuno si sarebbe aspettato regala risultati stellari. Per esempio con la fondazione Carla Fendi e il suo contributo alla creazione del Science Gateway all’interno del Cern di Ginevra, con Hermès e il suo spazio di un altro mondo per l’evento brit “Brides Galaxy” oppure con Coperni e le sue due borse Meteorite bag e Air bag, che sui social hanno innescato un vero e proprio big bang.

Certo, ad aumentare l’hype ci pensano pure i film come “Dune” che a ben vedere sono gli unici che durante il tour promozionale possono portare sotto gli occhi di tutti abiti futuribili fuori dall’ordinario finalmente indossabili.

Lo spazio dopotutto vuole essere per natura vissuto più che indossato anche se una leggenda narra di Elon Musk che commentò così l’estetica delle tute di SpaceX: «Tutti sembrano migliori in smoking, non importa la taglia o la sua forma. Quando le persone indossano queste tute vogliono apparire al meglio». Quindi in fondo sì, lo spazio desidera essere alla moda e glamour… anche se poi per le massa basta vedere Zendaya in un cyber dress di Mugler per andare verso l’infinito e oltre.

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