Comprereste diamanti creati in laboratorio?
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14 Febbraio 2025
Articolo di
Michela Frau
Comprereste diamanti creati in laboratorio?
Stesso aspetto, stessa composizione chimica e fisica, stessa brillantezza, ma a un costo decisamente inferiore rispetto a quelli naturali (attualmente fino al 74% in meno, secondo The Guardian). Sebbene i diamanti sintetici, noti anche come Lab-Grown Diamonds, siano apparsi sul mercato negli anni Cinquanta del Novecento – inizialmente utilizzati in ambito industriale e successivamente perfezionati fino a entrare nel settore della gioielleria negli anni Settanta – è solo negli ultimi tempi che sono riusciti a scrollarsi di dosso la pesante e squalificante etichetta di «diamanti fake», conquistando una fetta di mercato sempre più ampia.
Se nel 2023 rappresentavano il 14,3% del mercato globale dei diamanti, si prevede che la loro quota salga al 21% nel 2025, raggiungendo un valore di 59,9 miliardi di dollari entro il 2032 (a fronte dei 27,2 miliardi di due anni fa).
Tracciabilità e risparmio: perché scegliere i diamanti sintetici?
Mentre storicamente era la rarità a decretare la desiderabilità di un diamante (approccio condiviso ancora da un’ampia fetta di consumatori), negli ultimi anni la tracciabilità e la certezza di acquistare un prodotto eticamente accettabile si sono affermate come driver d’acquisto, guadagnando sempre più importanza tra gli acquirenti e in particolare tra quelli della Gen Z.
Dagli anni Novanta, e in modo ancora più diffuso dal 2006 con l’uscita del film “Blood Diamond” con Leonardo DiCaprio, si è radicato il luogo comune secondo cui tutti i diamanti naturali sarebbero «insanguinati». L’espressione si riferisce a gemme estratte in zone di conflitto, spesso in condizioni di sfruttamento e con gravi violazioni dei diritti umani, il cui ricavato viene utilizzato per finanziare guerre o attività illegali. È chiaro, quindi, che un gioiello realizzato tra le quattro mura di un laboratorio offra una maggiore garanzia etica.
Tra i punti di forza vi è anche la velocità di produzione. Un processo che in natura richiede milioni, se non miliardi, di anni viene ridotto a pochi giorni grazie a speciali macchinari in grado di replicare le condizioni di formazione dei diamanti naturali (alta temperatura e alta pressione). L’industrializzazione abbassa inevitabilmente il costo di vendita delle gemme, permettendo, a parità di prezzo, di acquistare gioielli di caratura significativamente maggiore.
Proprio come i diamanti naturali, anche quelli coltivati sono accompagnati da un “passaporto” che ne certifica la qualità secondo la regola delle “4 C”: cut (taglio), color (colore), clarity (purezza) e carat (peso). Il tema della sostenibilità resta ancora oggetto di dibattito, sebbene molti ne sottolineino il lato eco-friendly, che spesso, dopo il costo ridotto, rappresenta una delle principali motivazioni d’acquisto.
Negli ultimi anni, diversi marchi hanno scelto di puntare sui diamanti lab-grown per offrire ai consumatori alternative più accessibili. Pioniera in questo settore è stata Pandora, che dal 2022 utilizza esclusivamente gemme coltivate per i propri gioielli. A seguirne l’esempio è stato anche il gruppo LVMH, che, dopo aver investito nel produttore Lusix, ha introdotto questi diamanti nei suoi orologi di alta gamma con il brand TAG Heuer (che controlla dal 1999).
Ci sono poi Prada e Swarovski. Mentre il brand milanese ha scelto di utilizzare i diamanti coltivati nella linea Eternal Gold, realizzata in oro bianco e giallo riciclato, il marchio austriaco di cristalleria ha lanciato la collezione Created Diamonds, che dopo il debutto negli Stati Uniti, lo scorso anno è arrivata anche in Italia. A Milano, infatti, il nuovo flagship store in piazza del Duomo ospita un’area interamente dedicata ai preziosi.
Tale diffusione ha inevitabilmente avuto un impatto sul mercato dei diamanti naturali. Dopo il boom registrato durante la pandemia, quando i gioielli sono diventati un bene su cui investire (complice la maggiore disponibilità economica dovuta all’impossibilità di spendere in viaggi o ristoranti), il mercato ha visto un rallentamento della domanda che è proseguito anche con la normalizzazione.
Oltre al divieto imposto dall’Unione Europea sull’importazione di diamanti provenienti dalla Russia, uno dei principali Paesi esportatori al mondo, il mercato ha dovuto fare i conti con la diminuzione dei matrimoni, il rallentamento dell’economia cinese e l’ascesa delle gemme coltivate. L’effetto immediato? Il calo dei prezzi delle pietre preziose estratte, che sono scesi del 26% negli ultimi due anni, secondo quanto riportato dal The Guardian.
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