Il debutto di Dior by Jonathan Anderson
STYLE
27 Giugno 2025
Articolo di
Michela FrauIl debutto di Dior by Jonathan Anderson
Che il debutto di Jonathan Anderson alla guida creativa di Dior fosse l’evento più atteso di questo fashion month dedicato alle collezioni maschili, è assolutamente indiscutibile. Come è altresì indiscutibile, che la volontà dello stilista nordirlandese chiamato a prendere le redini di tutte le collezioni della maison – come svelato da alcuni teaser e immagini diffuse nei giorni precedenti allo show – fosse quella di recuperare quelli che sono gli stilemi incisi nel DNA della griffe francese per eccellenza.
E mischiarli, questi stilemi, con l’essenza e lo spirito del tempo, in una strategia che altro non è che la ricetta da lui confezionata per condurre Loewe nel tempio della moda, seduta accanto alle maison più rinomate, tra cui, un posto d’onore spetta a Dior ora pronta per iniziare un nuovo capitolo nella sua storia.
Simbolo di questo nuovo inizio, ma anche emblema del rinnovamento ciclico della natura, le tre uova di ceramica che posano su un elegante e candido piatto, scelto come invito per l’attesissimo defilè e divenuto anche l’occasione per il primo tra i tanti richiami all’archivio scovati in passerella. Si parte quindi da logo che ritorna alla sua forma minuscola pre Maria Grazia Chiuri, e abbandonando la versione ALL CLAPS, viene ricamato sui pullover dallo scollo a v, diventando il simbolo di una dichiarazione di intenti che si estende anche al recupero dell’anima romantica della maison.
Eliminati, o forse meglio dire smussati – visto i tasconi che rendono cargo i bermuda ispirati all’abito Cyclone ideato da Monsieur Dior nel 1948 – i richiami allo streetwear, su cui prendono il sopravvento delicati e quasi impalpabili ricami floreali, citazione del dichiarato amore per i fiori del fondatore.
Sempre direttamente dalle sue passioni derivano i riferimenti al mondo delle corti del XVIII secolo. Ecco quindi le giacche Redingote, un tempo usate per la caccia e l’equitazione, che ora si abbinano a denim, sneakers in suede e calzettoni a righe. Ma anche i panciotti, siano essi in colori pastello o finemente ricamati, indossati sopra le candide camicie o direttamente a contatto con il corpo, così come i fiocchi rigorosamente bianchi indossati a mo’ di papillon e le lunghe cappe.
Se dovessimo poi continuare il gioco della caccia alle citazioni, risulterebbero facilmente rintracciabili sia la versione maschile della Giacca Bar, sia la struttura architettonica dell’abito Cigale del 1952, che rivive ora in un paio di bermuda cargo beige, e sopratutto quell’allure artistico-letteraria che accomuna il lavoro di Anderson con quello di Monsieur Dior. Un fil rouge che viene reso tangibile dalla scelta di apporre sui muri grigi (quasi asettici) della location, i quadri firmati da Jean Simèon Chardin – artista amato dallo stesso Dior – presi in prestito dal Louvre e dalla Scottish National Gallery di Edimburgo.
Ma se «Non puoi ricostruire una maison in uno show. È impossibile. Dovresti essere come Cristo», come lo stesso Anderson ha dichiarato in un’intervista rilasciata al WWD, alla vigilia della sfilata, è chiaro che per Dior soffi un vento nuovo.
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