STYLE

18 Febbraio 2025

Articolo di

string(15) "Camilla Bordoni"
Camilla Bordoni

Quanto è importante studiare lo spazio delle passerelle?

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18 Febbraio 2025

Articolo di

Camilla Bordoni
studiare spazio passerelle set sfilate Chanel Iceberg

Quanto è importante studiare lo spazio delle passerelle?

Gli abiti sono solo la punta dell’iceberg di un fashion show, perché se c’è un elemento che spesso viene sottovalutato, e che invece è il primo tassello della narrazione, questo è lo spazio, la location. Non siamo noi a dovervi dire che nel mondo della moda tutto è messaggio: ogni capo, ogni dettaglio, ogni materiale svela un pezzo della storia che il designer e il brand vogliono raccontare. Quindi sì, tutti gli elementi di una sfilata sono importanti, ma ce ne sono due che sono fondamentali per la buona riuscita dello show.

Scegliere il dove e il come gli abiti prenderanno vita vuol dire inserirli nel loro habitat ideale, significa dar loro una voce in grado di suscitare quel primo impatto emotivo che sulla stampa si traduce con una review che ne esalta il successo. Studiare l’architettura e il design delle passerelle potrebbe quindi risultare cruciale per la collezione stessa, perché fornisce la cornice attraverso cui il messaggio della griffe viene amplificato, distorto o reso memorabile. Perciò quanto è importante, realmente, analizzare la progettazione dello spazio di un défilé? Forse tantissimo dal momento che, in alcune occasioni, è stata la parte più “groundbreaking” di un intero fashion month.

Dall’intimità in house agli show monumentali

Come si è evoluto questo rapporto tra moda e architettura? Le sfilate di certo non sono sempre state l’evento spettacolare che conosciamo oggi. C’è da dire che un tempo le collezioni venivano presentate seguendo un format esclusivo, discreto, lineare, all’interno delle stanze degli atelier e davanti a un pubblico selezionato minuziosamente. Non c’era bisogno di alcuna narrazione particolare, le donne si sedevano in rigoroso silenzio, squadravano i capi e poi… penna alla mano si segnavano i numeri dei cartoncini che identificavano i looks. Austerità intorno per mettere in risalto gli abiti. Eppure si può dire che, anche in questo caso, ci fosse in un certo senso uno studio indiretto dello spazio?   

Non vogliamo ripercorrere tutte le tappe, ma sarete concordi tutti che il modo di fare e mostrare la moda negli anni è cambiato, così come lo zeitgeist fashion che ne ruota attorno. La passerella a un certo punto ha smesso di essere un semplice strumento orientato esclusivamente alla vendita per diventare un evento culturale e mediatico, un vero e proprio spettacolo, ricco di performance e storytelling.

Oggi d’altronde le sfilate parlano tanto quanto i vestiti che vi si possono scorgere sopra. Basti pensare alle colossali scenografie create da Chanel al Grand Palais, che stagione dopo stagione è stato trasformato in un mondo a sé; diventando prima un supermercato, poi un razzo spaziale pronto a decollare ed infine una spiaggia su cui passeggiare. Possiamo inoltre parlare di come Fendi nel 2007 abbia mobilitato un intero settore portandolo sulla Grande Muraglia.

Di come Dior abbia scelto il Panathenaic Stadium di Atene per la sua sfilata Cruise 2022, creando un dialogo tra moda, storia e cultura. Oppure, ancora, di come Louis Vuitton in passato abbia puntato su location iconiche come il Louvre o la Fondazione Maeght per sottolineare come l’abbigliamento possa interagire con lo spazio trasformandosi in una vera forma d’arte. Infine, di come Balenciaga abbia scelto la fossa dei leoni della borsa di New York per la cruise 2023, e di come il Gucci di Alessandro Michele abbia portato la sua Love parade tra le strade Hollywood Boulevard, etc, etc, etc…

Il sogno nello showspace

Capire l’importanza dello spazio nelle sfilate significa anche studiare il perché e il come i marchi sfruttino le passerelle con il fine di abbracciare una cultura visiva della moda più impattante. Ai più forse sarà sconosciuta ma su Instagram c’è una pagina che tutti dovrebbero salvare. È Atlas of Shows, che, prima di essere un profilo social, è un progetto-gioiello sviluppato da Livia Grigori e Daniele Ricciardi, il cui obiettivo è quello di raccogliere e analizzare i défilé più iconici della storia da un punto di vista architettonico, visivo, culturale e comunicativo, offrendo così parecchi spunti per comprendere come i luoghi (ed eventuali opere di design pensate ad hoc) siano dei perfetti escamotage per condividere un determinato sistema valoriale

Le location non sono di fatto solo contenitori, ma elementi attivi che contribuiscono a definire una specifica identità. Per questo più che di ambiente si dovrebbe parlare di showspace, un concetto che i founders – in un’intervista rilasciata a Harper’s BAZAAR – percepiscono come l’insieme di atmosfera, spazio e matericità del set, ma altresì come un’associazione a valori, economici e culturali.

Lo spazio diventa storytelling capace di immergere lo spettatore in un’esperienza totale, perché così è stato per le ultime sfilate di Prada, a partire da quel menswear primavera-estate 2012 con sedute a forma di blocchi di schiuma blu distribuiti a griglia su un prato artificiale (una scenografia progettata dallo studio OMA/AMO di Rotterdam, ndr), fino agli show immaginifici e sci-fi di brand come Coperni.

Una location che è niente ma forse è tutto

Insomma esempi per dimostrarvi come lo spazio diventi un codice estetico potentissimo ce ne sarebbero scandalosamente diversi. Potremmo citare solo gli show di Jacquemus, nel altopiano di lavanda di Valensole, alle Hawaii, alle Salin de Giraud, alla reggia di Versailles, scegliete voi quale. Potremmo ricordarvi le sfilate orchestrate nel deserto, come quella di Saint Laurent andata in scena ad Agafay dove fu l’artista e stage designer Es Devlin a ricostruire un’imponente oasi con un enorme disco girevole al centro. Ancora, potremmo nominare gli ultimi performance events di Rick Owens, con modelle e capi che sembravano usciti da un’apocalisse futuristica (o da pellicole come Dune, ça va sans dire).

Perciò, l’architettura per la moda è un fetish o pura strategia visuale? Chissà, magari entrambe le cose perché se da una parte può ispirare e dare un contesto ai capi o piacere semplicemente al designer, dall’altra influisce necessariamente sulla percezione della collezione, su chi la condividerà e su quanto resterà impressa nella memoria collettiva. D’altro canto chiedetevi se il look total white della SS23 di Balenciaga composto da una felpa in tessuto tecnico con stampata una rotella gira a vuoto, pants cargo e clogs sporchi avrebbe fatto lo stesso effetto se non avesse sfilato su una catwalk piena zeppa di fango…

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