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4 Agosto 2025

Articolo di

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Eleonora Sergi

Margiela ha firmato un hotel a Parigi (e nessuno ne parla abbastanza)

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4 Agosto 2025

Articolo di

Eleonora Sergi
Maison Margiela La Maison Champs Elysées hotel
La Maison Champs-Elysées

Margiela ha firmato un hotel a Parigi (e nessuno ne parla abbastanza)

Dormire dentro un’idea. È questo il sentimento che attraversa chi varca la soglia de La Maison Champs-Élysées, hotel 5 stelle firmato da Maison Margiela nel cuore dell’ottavo arrondissement di Parigi. Un edificio storico dell’Ottocento reinterpretato dal genio belga Martin Margiela in un progetto totalizzante che sfida le categorie classiche dell’hôtellerie di lusso.

Prima ancora che d’interni, qui si parla di storia. La mansion di 8 rue Jean Goujon, con la sua facciata haussmanniana scolpita con grazia imperiale, fu commissionata nel 1866 dalla Duchessa di Rivoli e Principessa d’Essling all’architetto Auguste Pellechet. Nel 1919 venne acquistata dalla Maison des Centraux – oggi Maison des Centraliens – grazie ai fondi raccolti dagli ex studenti dell’École Centrale, diventando quartier generale di un’élite ingegneristica. Un luogo nato per accogliere il sapere, oggi trasformato per ospitare visioni.

Non c’è traccia di opulenza prevedibile, né di estetica instagram-friendly: qui l’anonimato diventa linguaggio e l’eccesso prende forma nella sottrazione. L’hotel, parte del circuito Design Hotels, ospita 57 camere, di cui 17 firmate direttamente dalla Maison.

Maison Margiela La Maison Champs Elysées hotel

La filosofia di fondo è quella che ha reso Margiela uno dei designer avant-garde più influenti del secolo: la decostruzione, il trompe-l’œil, il bianco assoluto come tela mentale, e la tensione costante tra reale e simulato. Ogni stanza si tramuta in un teatro concettuale, in cui l’ospite si muove come spettatore e protagonista allo stesso tempo. Le suite Couture sono la massima espressione di questa visione: pareti drappeggiate di tessuto bianco, caminetti trasformati in installazioni minimaliste, letti incastonati in volumi geometrici. In alcune camere, il mobilio è volutamente oversize o completamente mimetizzato; altrove, elementi classici come cornici e modanature vengono impressi direttamente su carta da parati, ingannando lo sguardo.

L’intervento di Maison Martin Margiela, datato 2011, non è una semplice operazione di branding: è un atto di design radicale. Dopo le incursioni in spazi isolati come la suite del Palais de Chaillot o quella all’hotel Les Sources de Caudalie, Margiela firma qui la sua prima opera totale: camere, hall, ristorante, bar, suite tematiche, corridoi.

In un’epoca in cui molti hotel di lusso cercano l’estetica ostentata o l’ibridazione con l’arte contemporanea, Margiela sceglie l’assenza come cifra stilistica. Resta fedele alla sua vocazione: essere un luogo in cui il concetto prende il posto del logo. Il bianco domina e i dettagli sono calibrati al millimetro. È come se ogni superficie suggerisse al visitatore di rallentare, osservare, disimparare ciò che si conosce del lusso.

Maison Margiela La Maison Champs Elysées hotel

Maison Margiela La Maison Champs Elysées hotel

Una delle frasi chiave pronunciate dalla Maison all’epoca fu: “Abbiamo cercato di reinterpretare il concetto di ospitalità con lo stesso linguaggio concettuale con cui creiamo i nostri abiti.”

Le suite firmate Margiela sembrano sospese tra sogno e installazione. I mobili sono rivestiti con teli bianchi su misura, come se fossero oggetti coperti per un trasloco o un set abbandonato.
Il risultato è straniante: tutto è reale e finto allo stesso tempo. Le cornici sono stampate sulle pareti, i caminetti sono illusori, disegnati con vernice opaca per sembrare piatti, quasi cartoon. C’è un equilibrio fragile tra comfort e concettualismo, tra il piacere dell’abitare e il senso di camminare in un’opera d’arte.

Maison Margiela La Maison Champs Elysées hotel

Il contrasto tra vecchio e nuovo è gestito con sapienza. Margiela lascia intatti alcuni elementi originali dell’edificio, come le modanature o le altezze dei soffitti, e li fa dialogare con superfici monocrome, materiali grezzi e luci diffuse. Fuori dalle camere, la stessa cura si ritrova negli spazi comuni. Il Blind Bar è uno dei luoghi più iconici: una smoking lounge cieca, senza finestre, dove pareti scure e specchi creano un senso di raccoglimento e mistero.

Nel Salon Blanc, un tappeto in lana riproduce sul pavimento un soffitto francese del XVIII secolo. Un paradosso visivo tra sopra e sotto, amplificato dai divani “Groupe” disegnati da Margiela per Cerruti Baleri.

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Le trompe-l’œil room sono invece dieci camere identiche in cui, su una moquette color sabbia, viene stampato un tappeto persiano rosso. Le pareti creano illusioni ottiche, con cornici di luce dipinta che simulano l’alba, mentre i bagni rivestiti di piastrelle bianche con fughe nere richiamano la precisione di un foglio millimetrato. La parete divisoria, in betulla bianca, incorpora scrivania e nicchie.

La hall Antin, sul retro, è invece una distopia metallica: fogli di alluminio applicati a mano rivestono ogni superficie, mentre un gigantesco lampadario a forma di diamante si riflette sulle piastrelle ceramiche color argento. È un mondo parallelo, freddo ma abbagliante, fatto di acciaio, LED e plexiglass.
L’altro lato del prisma è la hall d’ingresso, dove una reception a forma di diamante specchiato si staglia su un pavimento in pietra calcarea del Mareuil con inserti di ardesia nera.

Maison Margiela La Maison Champs Elysées hotel

Nel ristorante, il cemento cerato e i pannelli in cemento Ductal fanno da sfondo a sedute classiche Luigi XV e XVI rivestite di cotone bianco. Tutto poggia su piedistalli metallici che li fanno sembrare sospesi, come in un’installazione. Le porte sono sovradimensionate, le maniglie esagerate, le nicchie stampate in bianco e nero.

Maison Margiela La Maison Champs Elysées hotel

A distanza di oltre dieci anni, La Maison Champs-Élysées non è invecchiata. Al contrario: è diventata una reliquia vivente del design concettuale degli anni Dieci, un luogo di pellegrinaggio per chi vuole scoprire cosa succede quando la moda si fa spazio, e quando l’ospitalità diventa racconto. L’hotel diventa un archivio vivente, una galleria abitabile, un luogo in cui il tempo si piega e lo spazio raddoppia.

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