Quando Martin Margiela conquistò la moda con l’anonimato
STYLE
22 Luglio 2025
Articolo di
Camilla Bordoni
Quando Martin Margiela conquistò la moda con l’anonimato
Martin Margiela potrebbe essere accostato alla figura retorica dell’ossimoro. Il designer che con la sua invisibilità conquistò la visibilità non lasciando che la sua popolarità prevalesse sul suo lavoro, ma piuttosto ponendo l’accento sulle sue creazioni, perché chiamarli semplicemente abiti o accessori suonerebbe come un insulto. In un’epoca in cui la celebrità era (e resta) moneta corrente nel mondo della moda, lo stilista belga scelse deliberatamente di rimuovere se stesso, o almeno la sua presenza conclamata e terrena, dal palcoscenico glamour.
Non voleva essere un designer-rockstar, ma la mente dietro una maison che funzionasse anche come una sorta macchina collettiva, fatta di camici rigorosamente bianchi; dove il significato estetico, il surrealismo, la decostruzione, il bricoleur, il concettuale potessero avere una voce senza essere oscurati dalla sua presenza.
Margiela nacque nel 1957 a Genk, in Belgio, studiò ad Anversa e mosse i suoi primi passi alla corte di Jean Paul Gaultier. Fondò il suo omonimo brand nel 1988 e da subito stabilì che il silenzio era il suo verbo. Rifiutava interviste. Usava il plurale maiestatis. Di foto non ne faceva, tanto che oggi ce ne sono poche e spacciate quasi clandestinamente. Il suo attaccamento all’anonimato era tale che pure le etichette volevano in qualche modo rifletterlo, dal momento che erano bianche e cucite solamente con quattro punti.
In sostanza, nulla doveva distrarre da quella meta-moda di pensiero, dal dialogo tra creatività e tessuto che il designer voleva perpetuare. E tanti si sono interrogati se questa sua privacy fosse stata per tutto il tempo una trovata di marketing strategy, anche se al tempo non si chiamava certo così. Come molti si sono ostinati a definirlo il “Banksy della moda”, sfuggente ma presente. Low profile ma grandioso. Celebre ma anonimo.
L’anonimato intelligente q.b
Che l’anonimato nella sua accezione generale funzioni dal punto di vista comunicativo non è un mistero. Ne hanno dato a loro modo dimostrazione i Daft Punk e la nostra Elena Ferrante (è uno scrittore? Una scrittrice? Ma a chi importa poi, ndr), eppure solo pochi lo sanno mantenere in maniera intelligente, dosandolo quanto basta. Al di là delle motivazioni puramente personali, Margiela forse inconsciamente sapeva che l’anonimato non solo gli avrebbe permesso una maggiore espressione creativa, ma anche una certa quantità di appealing fascinoso agli occhi di un cotè modaiolo abituato alla sovraesposizione.
È così incredibile pensare che il successo si possa ottenere nel ristagno della propria privacy? Sì e no, d’altra parte l’essere riservati e privare il mondo di essere un voyeur ha suoi vantaggi; tra tutti quello di aumentare il buzz (cosa non uscì sui social quando le Olsen proibirono l’uso del telefono ai loro show?!).
«Non mi piace l’idea di essere una celebrità. L’anonimato è molto importante», afferma Margiela in Martin Margiela: In His Own Words: un docufilm che lo “mostra” soltanto attraverso mani e la voce. Un concetto che ad onor del vero lo fece suo anche sulle passerelle dove persino le modelle al défilé del debutto sfilarono con il volto coperto per far concentrare gli spettatori sui capi e sul portamento. E poi come non ricordare la celebre fotografia scattata da Annie Leibovitz per Vogue US, dove è ritratto l’intero (bianco) team di Maison Margiela a braccia conserte che attornia una sedia per lo stilista lasciata volutamente vuota in prima fila.
Quello che Martin Margiela chiedeva al suo pubblico era di leggere ed interpretare le sue creazioni. Capire che non si trattava solo di abiti, ma che ogni collezione era più un’indagine sul senso della moda. L’assenza di un concept che forse era anche un po’ strategia, ma soprattutto era un esercizio intellettuale di un uomo che voleva fare couture.
L’affermazione di un’artista
Nel 2009 Margiela lasciò la griffe per ritirarsi definitivamente dalla moda, cedendo il controllo della casa a Renzo Rosso, patron del gruppo Otb. A quel punto, molti si chiesero cosa ne sarebbe stata della sua moda e cosa avrebbe fatto lui. Come sappiamo, il brand continua tutt’oggi a vivere mantenendo sempre quell’aria di riservatezza che permea il team creativo. Per quanto invece riguarda l’ex designer, “si mostrò” per quello che era sempre stato: un’artista. E così il suo estro creativo passò, per così dire, al mondo dell’arte.
È infatti nel 2021 che debuttò con la sua prima mostra alla fiera Fiac di Parigi, composta da diversi lavori talvolta realizzati con materiali particolari (come i capelli, un netto riferimento al suo passato da designer e alla sua giacca-parrucca). Mentre tre anni più tardi Margiela presentò nella città di Anversa “Blinds”, una scultura pubblica posta nella via dello shopping di Schuttershofstraat, di forma cilindrica e che nell’aspetto ricreava delle persiane di acciaio satinato, simulando in un certo senso il concept della privacy, del “vedere ed essere visti” nella cornice urbana.
Insomma, il ritiro dal mondo della moda di certo non ha azzerato né l’approccio anti-status, né lo stile deconstructed di Martin Margiela. Semmai forse è il caso di dire che li abbia ricalibrati e declinati secondo una grammatica più architettonica che patinata. E nonostante tutto dobbiamo pur sottolineare che quella figura mitologica che fece impazzire lo zeitgeist fashion e unconventional non è sparita perché ancora oggi influenza armadi e lo storytelling di quello che fu il suo marchio. Con o senza di lui, la casa continua ad esistere e condividere collezioni intime e gentili. Con un narrative marketing più 2.0 magari, ma sempre facendosi largo con il solo peso delle idee.
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