FOOD & BEVERAGE

23 Gennaio 2025

Articolo di

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Nadia Afragola

L’eleganza essenziale di Matteo Baronetto

FOOD & BEVERAGE

23 Gennaio 2025

Articolo di

Nadia Afragola
Intervista Matteo Baronetto Chef Ristorante Del Cambio Torino
Chiara Schiaratura per Soldoutservice

L’eleganza essenziale di Matteo Baronetto

I cuochi, la loro follia, la bellezza, la dipendenza da un mestiere, la smania di perfezione. Come la magia di una passerella, regolata da infinite gerarchie e coltelli ben affilati. Siamo entrati nella cucina di un esteta del cibo, Matteo Baronetto, alla guida a Torino del Ristorante Del Cambio, un luogo dove il cibo non solo nutre ma arricchisce.

L’insegna è nata nel 1757, in Piazza Carignano, la culla della città sabauda, ad un passo dal Museo Nazionale del Risorgimento, sede del primo Parlamento italiano. È qui che si è fatta l’Italia, è ai tavoli di quel ristorante che sedeva il Conte Cavour quando tutto ebbe inizio ed è sempre nelle sue sale che una manciata di anni fa ha ordinato un piatto di agnolotti Mark Zuckerberg, fondatore di Meta.

Il nome è un omaggio alle operazioni di cambio della moneta che si svolgevano in piazza. Una storia d’altri tempi la sua che ha registrato anche una brusca frenata: era gennaio 2012 quando il Tribunale di Torino ne dichiarò il suo fallimento e lo mise all’asta. Per la sua rinascita occorre ringraziare Michele Denegri, uno dei più importanti imprenditori italiani. Il resto è storia.

Ristorante Del Cambio Torino Insegna

Chi è Matteo Baronetto?

Un eterno romantico che è riuscito a trasformare i suoi sogni in risultati concreti.

Hai dichiarato che “La cucina è più simile alla moda che all’arte”.

La cucina e i cuochi si sono avvicinati molto, negli ultimi 20 anni, alla moda. I processi sono simili. In entrambi i mondi serve creatività, progettualità, rigore. Le presentazioni delle nuove collezioni richiamano, nel nostro mondo, l’uscita di un nuovo menu. E i cuochi, come gli stilisti, sono dei personaggi che devono presentarsi per presentare il loro lavoro.

Le mode però passano.

La sostanza non passa mai di moda. Vale per un grande abito, un grande piatto, un grande vino.

Nella moda ci sono stili e rappresentanti. Se fossi un direttore artistico, uno stilista chi saresti? Maria Grazia Chiuri, Alessandro Michele…

Giorgio Armani. Ha una profondità e una sensibilità nel disegnare capi dall’eleganza essenziale, non togliendo in alcun modo forza alla parola eleganza. Vuol dire essersi concentrato per andare oltre i dettagli.

Matteo Baronetto Ristorante Del Cambio

Da 11 anni guida Del Cambio, uno dei ristoranti italiani più storici. Un progetto che avrebbe risucchiato chiunque.

Undici anni fa avrebbe, probabilmente, risucchiato chiunque perché non era un posto conosciuto come oggi. C’era bisogno di un incosciente e il fato ha voluto che fossi io. Lo dico con il sorriso, in fondo le cose difficili mi sono sempre piaciute, basta vederci delle opportunità. E poi un sognatore deve mettere in conto che sulla sua strada incontrerà tanti ostacoli.

Eri sulla cresta dell’onda. Firmavi i menu di Carlo Cracco, eppure hai scelto di guidare un ristorante dichiarato fallito. Chi lo avrebbe fatto?

Nessuno. Oggi è un posto ambito perché ha un’anima. I contenitori devono essere bellissimi ma devono avere un contenuto altrimenti rimangono solo dei bellissimi contenitori.

Non è solo un ristorante. E se lo facessimo diventare un museo?

Non abbiamo mai pensato di far pagare un biglietto per entrare ma organizziamo visite guidate. Dovrebbe però diventare Patrimonio dell’Umanità.

sala Ristorante Del Cambio Torino

Perché?

Perché rappresenta la prima capitale dell’Italia, rappresenta la politica e i personaggi che hanno contribuito a fare il nostro Paese. Politici, letterati, artisti, industriali. Tutti sono passati da qui. Poi… è stato acquistato da una famiglia torinese importante, sensibile che ha fatto in modo che non andasse smarrita l’importanza culturale del luogo. L’investimento fatto non ha valore, perché la cultura non è monetizzabile. Chi lavora qui e chi ne fruisce è un privilegiato, parliamo di un museo che ha 267 anni di storia, come cucinare, servire e mangiare nelle sale del Louvre.

Il senso di responsabilità. Consiglierebbe ad un imprenditore la fragilità di un progetto gastronomico come il tuo?

No, è appunto troppo fragile. Se non per una sorta di mecenatismo che vuol dire “accontentarsi” che parte del profitto sia più culturale che economico. Oggi bisogna iniziare a farsi delle domande intorno alla cultura e a quanto debba rendere o se possa essere monetizzata. Deve costare di più la cultura.

Parliamo di visionari.

Non ti avvicini a nulla di simile a questo se vuoi fare semplicemente l’imprenditore.

Il senso di appartenenza dei cuochi. Come si sviluppa?

Vale per la cucina, la sala, gli uffici di un ristorante. Se ogni componente non si sente parte del progetto difficilmente renderà al 100%. Bisogna coinvolgerli, seguendo linee guida, tracciate prima, che prevedano però la volontà di allargare la platea. Altrimenti si rischia che solo in pochi sappiano dove si vuole andare e cosa si vuole fare. Ma si ha bisogno di tutti per poter fare anche solo un passo avanti.

METAFISICO

“Acciughe” in salsa verde

Si è lavorato sulla tradizione e sulla sua contemporaneità. Nel piatto un elemento diversissimo rispetto a quello che poteva essere un’acciuga: l’alga nori è ciò che nel piatto si mastica, come fosse l’acciuga, condita con colatura di alici e pinoli, lessati fino a renderli morbidi e facili da masticare. Il condimento è un olio al prezzemolo.

Metafisico Acciughe in salsa verde Baronetto Del Cambio
IL NUOVO BAROCCO Salmone marinato e foie gras Baronetto Del Cambio

IL NUOVO BAROCCO

Salmone marinato e foie gras

Un diverso equilibrio tra grassezze. Salmone marinato in sale e zucchero e Foie gras d’oca appoggiato sopra a due pezzi di salmone crudo. Come a voler citare o ricordare i crostini di salmone con il burro fresco.

Quel senso di appartenenza che avevano gli Allievi di Marchesi…

Erano gli altri che li presentavano così. L’opinione pubblica. Era un fregio, essere l’allievo di… vale anche se parliamo di grandi pittori o scultori. In cucina, fare dei passaggi è utile come poi è utile creare gli allievi. Sono quei ragazzi che devi lasciare andare per fare in modo che un giorno possano fare meglio di te.

Allievo è però una parola tanto abusata.

Come la parola genio. Oggi giudichiamo l’operato di chi lavora nel nostro mondo usando dei termini inappropriati. I geni sono coloro che cambiano i paradigmi di alcune certezze che di punto in bianco non esistono più. I geni abbattono muri che sembravano insuperabili. In cucina ne nasce uno ogni 100 anni.

I colloqui. Cosa chiedi ai giovani cuochi quando si presentano?

Il vero problema è quando capisci che non sanno cosa vogliono fare da grandi. Sono un po’ confusi, spesso non hanno la risposta pronta neppure a semplici domande, come: chi è il tuo cuoco di riferimento?

Chi era il tuo cuoco di riferimento?

Lo è ancora. Il francese Alain Chapel. Mi ha illuminato, ricordo ancora le chiacchiere su di lui fatte con Marchesi. Purtroppo, non ho avuto la fortuna di andare a mangiare al suo ristorante, scomparve troppo presto. È morto nel 1990, ero giovane e non me lo potevo permettere. Era un mito, anche nel creare grandi allievi, come Ducasse.

Metafisico Acciughe in salsa verde Baronetto Del Cambio

La cucina è un progetto culturale. Il ristorante è un’azienda. Sei d’accordo?

No. La cucina fa parte dell’azienda. Non è solo poesia, altrimenti si rischia di essere banali, anche perché la poesia non è per tutti. E noi purtroppo in Italia mangiamo ancora solo con la pancia.

Siamo pezzi unici… hai dichiarato, eppure c’è sempre meno originalità nelle cucine.

Come tutti i periodi che seguono grandi movimenti ci deve esser per forza un momento di riflessione che non deve tradursi nel tornare indietro al passato sopraffatti dalla malinconia. Anche perché il passato è ormai andato, non si torna indietro. Lo diceva Eraclito, non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume. Perché il fiume scorre di continuo e anche noi cambiamo di continuo. Ed è vero, è pazzesco anche solo se ci pensi. La vita è quella roba là. Puoi provare a riprodurla ma l’esecuzione non sarà mai identica. Parliamo di cibo, di cucina, di ingredienti, di cose vive e di una perfezione che non esiste.

Fare lo chef oggi è di moda. È un bene, secondo te?

Penso che la moda sia passata. Lo dicono le iscrizioni alle scuole alberghiere, in calo. E questo perché si è venduto un modello sbagliato dei cuochi. La cosa che è venuta meno è la consapevolezza che sia un mestiere fatto di rigore. Quello che non si è fatto è che non si è cambiato un mestiere: i giovani non vogliono più farlo come lo abbiamo fatto noi.

Cosa chiedono maggiormente?

Oggi quello che un cuoco chiede è avere più tempo libero, e questo perché cuochi e camerieri il tempo non lo hanno mai avuto. Perché devono continuare a lavorare 14 ore al giorno, raccontandosi la bugia che oggi si lavora meno di prima?

Cos’è veramente giusto fare, allora?

In cucina bisogna avere rispetto prima di chi viene a mangiare da te, poi di chi lavora con te e solo dopo dei prodotti che lavori ma prima vengono gli altri due, altrimenti la poesia l’hai studiata a metà.

La critica gastronomica. Croce o delizia?

Segue il corso dei tempi e credo che oggi più che mai si senta l’esigenza di ricreare una critica gastronomica, partendo dalla consapevolezza che manca la possibilità anche solo di girare i posti che poi andrai a giudicare. Perché farlo costa e oggi si è più poveri, e lo sono soprattutto i giornalisti. Si criticano a prescindere, senza però capire che il mondo dell’editoria è in crisi da anni ormai e questo si tira dietro tutto. Non è mica in difficoltà solo ciò che ci riguarda? Ci troviamo nel mezzo di un grande cambiamento.

Al Cambio da 11 anni. Tra undici anni dove ti immagini?

Faccio fatica a vedere Baronetto nel 2036. Non so dove sarò, sicuramente in un luogo che non mi farà sentire arrivato o soddisfatto per quanto fatto. Che tradotto vuol dire con in mano una valigia piena di stimoli. Mesi fa mi hanno dato un piccolo premio per l’Innovazione in Cucina, mi sono illuminato perché ho pensato che un innovatore non smette mai di esserlo. È una croce che hai deciso di portare, una predisposizione che alle volte ti fa schiantare anche a terra. L’importante è non perdere l’entusiasmo strada facendo e non invecchiare raccontando che i tuoi tempi sono stati migliori degli altri.

Matteo Baronetto chef ristorante Del Cambio

Matteo… che marito è? Che musica ascolta? Cosa legge?

Dovresti parlare con mia moglie. Sono molto ingombrante. Tendo a fagocitare e a travolgere. Il primo libro che ho scritto l’ho dedicato proprio a mia moglie Sara, e alla sua energia silenziosa. Mi accompagna, non certo passivamente, nelle decisioni. Che musica ascolto? I cantautori italiani, De André, Paolo Conte, Vasco Rossi e poi i Police, Sting, Dire Straits, i Queen. A volte anche la musica elettronica. Per quanto riguarda la lettura sono molto concentrato sull’arte. Amo leggere le vite degli artisti, conoscere il loro vissuto.

La 50best il prossimo anno farà tappa a Torino. Premia i locali che producono un impatto significativo sul mondo della ristorazione. Ci proviamo?

A fare cosa?

A far si che si accorgano di ciò che accade nel tuo ristorante.

Difficilmente ho ragionato per schemi prestabiliti e tanto meno da solista. Sono un solista quando devo pensare in cucina e cerco di non esserlo quando sono alle prese con ciò che può avvenire. L’occasione della 50best è una meteora che passa e va via, che però può lasciare dei segni positivi. Bisogna anticiparli, coglierli e fare in modo di coltivarli anche nel futuro. Altrimenti si rischia di vivere di slogan e non ne abbiamo bisogno. Serve invece concretezza. Serve dire che a Torino si mangia bene, che Torino è una bellissima città e che offre tanto a livello gastronomico. Che forse c’è bisogno di altro, e che c’è spazio per fare delle cose diverse, che Torino ha bisogno di internazionalità per essere conosciuta, attraverso le giuste commistioni. È maturo il tempo delle azioni.
Nel mio piccolo cercherò di fare quello che so fare e di comunicare quello che siamo. Se ognuno facesse bene il proprio, basterebbe unire i puntini per ottenere un grandissimo risultato.

Chef Matteo Baronetto Ristorante Del Cambio

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