Il segreto del successo dei Members Club
STYLE
16 Maggio 2025
Articolo di
Michela Frau
Il segreto del successo dei Members Club
Dapprima ci sono Casa Cipriani, il Lucid e l’Aethos. Dallo scorso ottobre, poi, a Milano ha aperto le porte anche The Wilde, uno dei più esclusivi Members Club al mondo, che accoglie i suoi ospiti tra le mura della suggestiva Villa Platano, dimora a pochi passi da via Montenapoleone un tempo appartenuta nientemeno che a Santo Versace. Oltrepassando il grande cancello di ferro che si affaccia su via dei Giardini, i soci del club — tra cui compare anche Rihanna — possono comodamente usufruire del bar, del cigar club, dei ristoranti e della biblioteca, spazi il cui tocco Art Déco ben si sposa con la selezione di pregiatissime opere (firmate da artisti del calibro di Andy Warhol) che adornano le sale.
A questi, sempre all’ombra della Madonnina, si aggiungeranno presto Soho House e il celebre CORE, che ha scelto Milano per replicare nel Vecchio continente l’esperienza d’élite proposta nell’originario locale newyorkese, da qualche tempo trasferitosi al 711 della Fifth Avenue. La location prescelta è in questo caso un imponente palazzo in Corso Matteotti, attualmente sottoposto a un lungo restyling, la cui conclusione – più volte posticipata nel corso degli ultimi anni – non è stata ancora annunciata. Sorgerà invece tra San Babila e Corso Indipendenza, in un edificio razionalista un tempo occupato dall’Ex Cinema Arti, la sede milanese di Soho House che apre a Milano la sua seconda sede italiana (la prima quella di Roma, inaugurata nel 2021).
Ma quello che viene definito il boom dei Members Club non è un fenomeno esclusivamente circoscritto alla città di Milano. A Manhattan, nell’Upper East Side, hanno recentemente aperto il Maxime’s e il Casa Tua, mentre il San Vicente Bungalows ha inaugurato una nuova sede nel West Village. Spostandoci a Londra, storicamente considerata la capitale indiscussa dei club privati, entro la fine dell’anno arriveranno The Other House Covent Garden e House of Gods Canary Wharf, che si andranno ad aggiungere ai rinomati locali che da secoli popolano le sue strade.
Dal 1693, la metropoli è sede del White’s Club, da molti ritenuto il più esclusivo (e il più antico) club di Londra, che annovera tra i suoi soci il principe William e suo padre, re Carlo III, il quale lo avrebbe persino scelto per celebrare il suo addio al celibato prima del matrimonio con Lady Diana.
Risale invece al XIX secolo l’inaugurazione del Garrick, tempio per avvocati e politici (fino al 2024 accettava esclusivamente soci uomini) e dell’Athenaeum Club che, fondato nel 1824, vanta tra i suoi membri oltre 50 premi Nobel. Nel 1963 è poi arrivato l’Annabel’s, e un bel po’ di anni dopo anche il 5 Hertford Street, che tra i frequentatori conta anche Harry Styles e Leonardo DiCaprio.
Dal XVII secolo a oggi: parola d’ordine esclusività
Quella dei gentlemen’s club è una lunga storia il cui inizio ci riporta all’Inghilterra del XVII secolo. Ideati come spazi in cui fumare, giocare d’azzardo e discutere di temi politici e filosofici, in quegli anni i club erano luoghi esclusivamente frequentati dall’aristocrazia e dalla borghesia maschile britannica.
È però durante l’epoca vittoriana che iniziano a delinearsi regole ben precise, volte a selezionare i membri in base a status sociale, orientamento politico e formazione accademica, e proprio in questo periodo prendono forma i club tematici: quelli per i militari, per gli sportivi, per gli intellettuali, e così via. Il format si diffuse via via oltre i confini inglesi e, dopo un breve periodo di perdita di appeal legato al cambiamento dei costumi del dopoguerra, alcuni iniziarono ad accettare anche le donne (a partire dagli anni Settanta).
Da ritrovi aristocratici in cui usufruire di sontuose sale da ballo, intime biblioteche, tavoli da gioco e eleganti camere da letto, si sono evoluti in esclusivi spazi di networking contemporanei, frequentati da professionisti di ogni settore, artisti, celebrity e royals.
Ma se dovessimo individuare una caratteristica imprescindibile, una costante che, come un filo rosso, si intreccia e attraversa i cinque secoli di storia dei club, questa non potrebbe che essere l’esclusività. Esattamente come accadeva per i pionieri vittoriani, self-made men, anche oggi giovani professionisti, imprenditori e artisti desiderano — sempre e ancora — sentirsi parte di qualcosa. E, in particolare, di qualcosa di esclusivo. «La rinascita dei club negli ultimi decenni testimonia una nuova era di elitarismo», ha dichiarato Amy Milne-Smith, autrice di London Clubland: A Cultural History of Gender and Class in Late-Victorian Britain, al Guardian.
D’altronde, le cifre necessarie per diventare soci non sono certo alla portata di tutti. L’iscrizione al The Wilde ammonta a 1.250 euro, a cui è necessario aggiungere un contributo annuale di 4.000 euro. Servono invece 1.000 euro per entrare a Casa Cipriani, i cui membri devono versare ogni anno 3.000 euro per usufruire dei servizi offerti dalla sede milanese del club.
Secondo indiscrezioni riportate dalla stampa, l’accesso all’attesissimo CORE di Milano potrebbe arrivare a costare fino a 10.000 euro di iscrizione, con un contributo annuale di 5.000 euro. Talvolta, tuttavia, nemmeno disporre di tali cifre è sufficiente. «Al momento non è possibile diventare soci del White’s Club e la lista d’attesa per nuovi membri è chiusa e soggetta a revisione annuale», si legge sull’homepage del londinese White’s, alimentando ulteriormente il desiderio di accedere all’élite.
Numerosi i benefici riservati ai membri: dalle esperienze esclusive, come eventi culturali non accessibili al pubblico, alla possibilità di gustare piatti raffinati firmati da chef stellati, senza dover affrontare le attese spesso proibitive delle prenotazioni. A questi vantaggi si aggiunge sempre più spesso l’accesso a oasi wellness, a spazi riservati per il co-working e il networking, segno di quanto sia centrale, per molti, l’opportunità di stringere relazioni e costruire nuove connessioni in un ambiente protetto, percepito come sicuro e familiare.
È proprio questo senso di appartenenza a rappresentare una delle principali leve che spingono un numero crescente di persone a entrare nei sempre più numerosi club privati — una tendenza che impone al management un esercizio costante di equilibrio tra esclusività, e quindi selettività, ed espansione.
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