La moda ha un problema con le donne al potere?
STYLE
22 Gennaio 2025
Articolo di
Camilla Bordoni
La moda ha un problema con le donne al potere?
Se c’è un aspetto che salta subito all’occhio nel recap dei valzer dei direttori creativi è che questo porta, il più delle volte, immagini di uomini. Non fraintendete, non si discute il merito di queste figure, ma in linea generale una domanda sorge spontanea: la moda ha (forse) un problema con le donne al potere? Nonostante la categoria menswear abbia acquistato negli anni una maggior importanza, è indubbio che l’industria dell’abbigliamento sia da sempre e in gran parte ruotata attorno alla figura femminile; eppure se si guarda al portfolio dei marchi in seno ai grandi conglomerati del fashion ci si rende conto quasi subito che i numeri raccontano una storia un po’ diversa.
Siamo consapevoli che questo argomento (il gender gap, ndr) rappresenti un campo minato, per questo teniamo a sottolineare che non vogliamo soffermarci su casi specifici. L’intento è quello di analizzare il segmento con uno sguardo “ad ampio spettro”, non mettendo in discussione il merito di un qualsivoglia designer o manager, ma piuttosto condividere l’attuale fotografia del lusso. Un mondo patinato indubbiamente dominato da uomini, dove il solo rapporto di maggioranza si può evincere facendo un rapido confronto.
Donne nella moda: una questione di rappresentanza
Abbiamo già detto che molti dei più importanti marchi di moda femminile sono guidati da uomini. Mentre il loro talento non è in discussione, rimane il paradosso: perché le donne, che costituiscono buona parte della spina dorsale di questa industria, non riescono ad affermarsi con la stessa costanza ai vertici creativi e direzionali? Questo squilibrio forse non è frutto di una semplice coincidenza. Il problema affonda le sue radici in una cultura di leadership tradizionalmente declinata al maschile, che fatica a lasciarsi alle spalle i suoi bias impliciti.
Secondo l’analisi “Unpacking Pay Equity in Fashion: Italia” condotta da Pwc Italia e Global Fashion agenda, infatti, nel 2022 la percentuale di donne che ricoprivano cariche alte nel settore moda era nettamente esigua; pensate per esempio che nella leather industry solo il 31% di loro era manager (contro il 69% degli uomini), un dato che scendeva ulteriormente al 17% nel segmento tessile.
In generale e sempre secondo il report, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro italiano è bassa in tutti i settori: nel 2023 il tasso di occupazione femminile era del 52,5%, quasi 20 punti in meno rispetto al tasso di occupazione maschile (70,4%), con ampie variazioni regionali. Tuttavia il documento fa anche notare che tra il 2020 e il 2023, la rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione delle principali case di moda italiane è cresciuta dal 21,3% al 27% grazie alla maggiore consapevolezza circa la disuguaglianza di genere, che ha portato a più politiche e leggi a sostegno della presenza di quote rosa nelle posizioni di leadership.
Nonostante alcuni dati allarmanti, però, è giusto anche affermare che le basi di un primo cambiamento sembrano esserci. Soprattutto dopo alcune recenti nomine di manager italiane come quella di Benedetta Petruzzo, da qualche mese managing director di Dior, di Barbara Calò, da settembre CEO di Antonio Marras, di Simona Cattaneo in qualità di presidente della divisione fragrance & beauty di Chanel o, ancora, quella (risalente a un anno fa) di Francesca Bellettini come deputy CEO di Kering, responsabile dello sviluppo e del coordinamento degli ad di tutte le maison del gruppo.
Ma è comunque difficile dimenticare che per ogni Nadège Vanhee, Miuccia Prada, Sarah Burton, Louise Trotter, Maria Grazia Chiuri, ci siano decine di uomini che occupano ruoli di potere il più delle volte ben più “ben pagati” rispetto alle loro controparti.
«Guadagni più di me!». L’ombra del gender pay gap
In un articolo di Vogue Business, Halide Alagöz, la chief product officer di Ralph Lauren, ha espresso la sua opinione circa le difficoltà che una donna può incontrare lavorando nell’industria della moda: «I pregiudizi inconsci hanno storicamente creato squilibri di genere nel settore. Gli uomini vengono spesso promossi in base al loro potenziale, mentre le donne in base alle loro prestazioni. Questo squilibrio crea un ambiente molto limitante». Una testimonianza che a ben vedere porta di riflesso a soffermarsi anche su un’altra problematica: quella del divario salariale.
Nonostante le donne che raggiungono i vertici siano qualificate quanto l’altro sesso, i loro stipendi non sempre rispecchiano il valore del loro contributo. Nel rapporto Women in Work 2023 di PwC si evidenzia che in Italia le dipendenti che lavorano per i principali marchi di moda guadagnano in media il 5,5% in meno degli uomini e che in Europa serviranno 50 anni per colmare il divario retributivo di genere. Per quanto ci siano grandi realtà e pmi che si stiano adoperando per ridurre e fronteggiare questa disparità, i numeri per ora parlano chiaro. Insomma a buon intenditor poche parole…
Maschi contro femmine
«Ho ricoperto diversi ruoli e lavori in cui ero il leader di un team, ma quando parlavo con qualcuno quest’ultimo guardava sempre al mio collega maschio per avere una risposta o una decisione. Mi è rimasto impresso», ha raccontato a Vogue Business Nadia Kokni, SVP of global marketing and brand communications del marchio Hugo Boss.
Ormai è chiaro che l’industria della moda, come molte altre, non sia immune ai problemi sistemici della società. In particolare però viene da chiedersi se la rappresentanza sia percepita come una questione ancora culturalmente difficile da mandare giù. Per esempio, perché in relazione alla storia della moda si tende universalmente (e probabilmente per abitudine) a parlare di padri fondatori e non ANCHE di madri fondatrici? Entrambi di egual calibro e importanza, non credete?
Ad ogni modo, intanto che in questi mesi del 2025 si vedranno i debutti alla direzione creativa di Louise Trotter, Veronica Leoni e Sarah Burton, rispettivamente chiamate da Bottega Veneta, Calvin Klein e Givenchy, la domanda da farsi allora non è se la moda abbia un problema con le donne al potere, ma quanto tempo ancora ci vorrà perché smetta di averlo. E in un’industria che vive guardando al futuro (almeno sulla carta), è un interrogativo che non può più aspettare una risposta.
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