Quanto guadagna un direttore creativo?
STYLE
4 Giugno 2025
Articolo di
Michela Frau
Quanto guadagna un direttore creativo?
Definiscono la visione creativa del brand. Supervisionano le collezioni, curano le sfilate, le presentazioni e le campagne pubblicitarie. In alcuni casi poi, i direttori creativi delle maison si occupano anche di marketing, branding, merchandising del prodotto e delle boutique. In poche parole, sono i responsabili della visione artistica del marchio e della coerenza tra prodotto, comunicazione e immagine. Ma se è vero che «da grandi poteri derivano grandi responsabilità», i pochi fortunati eletti a ricoprire quello che è forse il ruolo più ambito nel mondo della moda sono anche i primi a subire le conseguenze più dure quando le vendite non premiano le proposte del brand. E, a questo proposito, la storia recente offre innumerevoli esempi.
Dall’altro lato, tuttavia, in caso di numeri positivi, è al designer che viene attribuito il merito (a scapito di tutti i membri del team che lavorano quotidianamente al suo fianco) di aver traghettato il brand verso il successo. Una nomina azzeccata, combinata con una serie di fattori che sfuggono al controllo umano, può dunque avere un impatto significativo sui bilanci.
Durante l’epoca di Alessandro Michele, dal 2015 al 2019, Gucci ha visto i suoi ricavi triplicare, mentre Hedi Slimane ha contribuito a raddoppiare le vendite durante i suoi incarichi in Saint Laurent e Celine. E ancora Maria Grazia Chiuri, che ha condotto Dior dai 2,2 miliardi di euro di fatturato nel 2017 ai 9,5 miliardi del 2023, rendendo di fatto la maison la seconda forza della divisione moda di LVMH, subito dopo Louis Vuitton.
Ma quanto sono disposte a mettere sul piatto le maison pur di raggiungere certi obiettivi (e certi profitti)? Poche e frammentarie sono le informazioni disponibili sul compenso di un direttore creativo, poiché le aziende non sono solite rendere pubblici i contratti, il che rende la questione piuttosto misteriosa, alimentando rumor su stipendi milionari, richieste da dive e bonus stellari. Secondo quanto riportato dal The Fashion Law, i direttori creativi che siedono nell’Olimpo della moda possono arrivare a portare a casa oltre 10 milioni di dollari di stipendio l’anno, a cui vanno spesso aggiunti bonus e, quando si tratta di maison quotate in Borsa, partecipazioni azionarie.
A tale cifra, come riporta Bloomberg, ammonterebbe il compenso annuale ricevuto dal già citato Slimane per il suo lavoro da Saint Laurent, a cui si aggiunge, nel caso dello stilista francese – protagonista di una controversia legale da lui avviata contro Kering per il mancato rispetto di una serie di clausole previste dal contratto – un risarcimento multimilionario, la cui somma si aggirerebbe intorno ai 20 milioni di euro. Alcuni alla conclusione del contratto ricevono quella che viene comunemente definita buonuscita, che, secondo indiscrezioni di settore, nel caso della separazione tra Sabato De Sarno e Gucci, avrebbe raggiunto la cifra di 18 milioni di euro.
Contratti in cambiamento: tra periodi di preavviso e clausole di non concorrenza
Contratti sempre più brevi accompagnati da compensi sempre più elevati. La carriera dei top designer è sempre più simile a quella degli atleti di successo. Se storicamente i contratti dei direttori creativi hanno sempre incluso clausole relative a rigidi periodi di preavviso, limitazioni sulle aziende presso cui poter lavorare dopo l’incarico attuale e lunghe clausole di non concorrenza, ora, anche e soprattutto a causa della crisi che attanaglia il settore, questi contratti sembrerebbero attraversare una fase di profonda trasformazione. A plasmarli è la necessità stessa delle maison di poter sostituire rapidamente i creative director qualora il loro lavoro non stia dando i risultati sperati in termini di vendite.
Per poter raggiungere tale obiettivo sarebbero sempre più frequenti i contratti con diritto di uscita a metà termine, una particolare tipologia che consentirebbe a entrambe le parti di recedere dal contratto una volta superata la metà della durata complessiva prevista. «Negli ultimi 10 anni ho assistito a una leggera riduzione dei contratti e, sempre più spesso, sono accompagnati da clausole di risoluzione unilaterali che possono essere invocate da entrambe le parti», ha dichiarato a tal proposito l’avvocato di Hedi Slimane, Leon Del Forno, a WWD.
Negli ultimi tempi, anche le celebri clausole di non concorrenza sono state rivisitate. Nate per impedire ai designer di lavorare presso un competitor per un periodo determinato dopo la cessazione del rapporto di lavoro – con l’obiettivo di proteggere know-how, creatività e segreti industriali – queste disposizioni hanno visto la loro durata media ridursi sensibilmente.
Se in passato la durata si aggirava intorno ai dodici mesi, oggi il vincolo risulta accorciato a un intervallo compreso tra sei e nove mesi, fino a non venire nemmeno applicato in alcuni casi. Una scelta comprensibile, considerando che tali obblighi prevedono che le maison continuino a retribuire i creativi “bloccati” da questi accordi. Un ulteriore modo, dunque, per ridurre i costi in un momento di crisi, agevolando al contempo l’inesorabile gioco delle poltrone.
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