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5 Giugno 2019

Articolo di

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Redazione

STONE ISLAND: Le origini dello streetwear moderno

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5 Giugno 2019

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STONE ISLAND: Le origini dello streetwear moderno

Corre l’anno 1982: Massimo Osti, grafico pubblicitario operante nel settore moda da qualche tempo per via di azzeccatissime ed inedite sperimentazioni di stampe serigrafiche su varie tipologie di tessuti, quasi a ricalcare la tendenza Warholiana sviluppatasi oltreoceano nel dopoguerra, elabora una decisione che finirà, qualche anno più tardi, per rivoluzionare completamente il panorama streetwear internazionale: prende vita la costola autonoma di CP Company, battezzata sotto il nome di Stone Island.



La scelta nasce dall’esigenza iniziale di sperimentare nuove tecniche di stampa su tessuti riciclati da telonati per trasporto merci, che di certo non poteva mostrarsi compatibile con la linea artistica delineata in casa Chester Perry (C.P.). La collezione, a cui viene applicato il tradizionalissimo “stone wash”, si rivela un inaspettato successo: l’unione tra concept alternativo e raffinata scelta di lavorazione dei capi fa si che in poco più di una settimana dal lancio, i pezzi vengano esauriti presso tutti i negozi riservati alla distribuzione.

Pochi mesi a seguire, i capi cominciano ad entrare negli ultra-selettivi armadi dei Paninari Milanesi che, in concordanza con le apparizioni televisive in occasione delle più importanti manifestazioni calcistiche europee, contribuiscono alla diffusione del brand specialmente laddove il calcio rappresenta più di un semplice stile di vita: i sobborghi Londinesi. Ben presto, gli spalti degli stadi Inglesi cominciano a popolarsi di “rose dei venti”, determinando la formazione di quella particolare subcultura all’interno della quale il marchio comincia ad essere indossato per fini tutt’altro che stilistici: molto spesso, l’elevato prezzo dei capi riusciva a fornire un fine nascondiglio dagli occhi indiscreti delle forze dell’ordine locali, oltre che contribuire ad evitare inutili ed improvvise hooligan fights tra militanti di fazioni contrapposte.





Dal 1983 in poi, sotto la nuova direzione creativa di un esemplare Carlo Rivetti, le innovative sperimentazioni portano alla realizzazione di alcuni tra i capi più rappresentativi del brand, tra i quali ricordiamo:
-1983: Raso Ray waterproof jacket
-1988: Ice Jacket (tessuto che rivela differenti sfumature cromatiche in base alla temperatura)
-1991: Reflective Jacket



E’ proprio a partire da questi fiorenti anni ’90 che anche la scena musicale, dapprima relegata al Britpop Inglese (Blur e Oasis in particolar modo) ed in seguito all’impulso di artisti della scena grime e rap internazionale, contribuisce in modo determinante all’esplosione definitiva di Stoney sul mercato streetwear internazionale. Nel 2015 infatti, il rapper canadese Drake viene fotografato a più riprese mentre indossa svariati pezzi del marchio italiano, attirando migliaia di nuovi clienti e andando a determinare una crescita vertiginosa delle vendite Stone Island (97 milioni di attivo nel bilancio annuale).



L’aura di esclusività determinata dalla progressiva diffusione in ambito musicale ha messo il brand sotto i riflettori dei più importanti marchi streetwear e sportswear globali, tra i quali spicca indubbiamente il colpo di fulmine con la splendida e irresistibile creatura newyorkese di James Jebbia.
Supreme e Stone Island rilasciano la loro prima collaborazione nel 2014, proponendo una capsule comprendente un abbinamento hoodie-crewneck-sweatpants realizzati interamente in cotone “tinto in capo”, a cui si aggiungono una Raso Gommato Jacket e un Raso Gommato camp cap.
Dalla FW14 in poi, i due brand hanno fedelmente perseverato nella loro relazione, rilasciando una collezione all’anno, alternativamente in corrispondenza di FW e SS.





Innegabilmente, Stone Island si è dimostrato uno dei pochi marchi capaci di mantenere un’identità ben definita, fondata su capisaldi imprescindibili che vanno a coincidere con il concetto di affidabilità e ricerca. A questo punto la vera domanda da porsi è: per quanto tempo ancora Quality & Durability riusciranno a ricoprire un ruolo determinante in un settore in cui a dettare legge sembra essere principalmente l’“Hype”?



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