STYLE

12 Luglio 2025

Articolo di

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Camilla Bordoni

La liaison tra Saint Laurent e il Marocco

STYLE

12 Luglio 2025

Articolo di

Camilla Bordoni
Yves Saint Laurent Marocco Liaison
Horst P. Horst/Condé Nast via Getty Image - Vogue, 1980

La liaison tra Saint Laurent e il Marocco

Sembra un cliché, ma una volta tornati da un viaggio non si è mai la stessa persona della partenza. Vale per tutti. Persino per una personalità tanto famosa quanto iconica come Yves Saint Laurent che dal quella vacanza in Marocco nel 1966 con l’allora amico e compagno Pierre Bergé non tornò mai davvero, almeno da un punto di vista estetico e creativo.

Accadde così che una visita di svago si trasformò in una storia d’amore che cambiò ed influenzò il couturier che a Marrakech trovò non solo un angolo di pace, ma anche una città vibrante fatta di colori vivaci, spezie e atmosfere esotiche tali da suscitare nel giovane Yves uno “shock” capace di riscrivere i dettami stilistici nella sua mente.

I toni brillanti delle architetture, il blu Majorelle, il giallo dorato del tramonto, il rosa ocra delle mura. E poi i catftani, linee leggere e forme inedite rientrarono tutti prima nei suoi schizzi e poi nelle sue collezioni. Perché è vero, di quella sua prima avventura marocchina Yves Saint Laurent ne farà una rinascita e un laboratorio artistico dove sperimentare.

Un rifugio creativo: le oasi di pace Saint Laurent in Marocco

Come le grandi storie d’amore che si rispettino, la liaison tra Saint Laurent e il Marocco iniziò con un colpo di fulmine. La prima visita a Marrakech fu di fatto decisiva per la sua vita professionale anche se ancora, a metà degli anni ’60, non lo poteva sapere. Al massimo forse intuire. D’altronde fu proprio quell’amore incondizionato per la città e quell’intuizione che portarono lui e il compagno ad acquistare la casa di Dar el-Hanch, chiamata “Casa del Serpente”, così da poter tornare nel Paese ogni qualvolta volessero. Così da avere sempre a disposizione una personale oasi di pace, un nido sicuro dove placare gli animi e sperimentare in totale libertà. Ovviamente circondati sia da un arredamento tipico che richiamava le atmosfere dei souk, sia da una rosa di artisti che puntualmente animavano la casa con feste facendola diventare un vero e proprio circolo esclusivo dall’animo bohémienne.

Quella però non fu il solo immobile che Saint Laurent acquistò, nel 1974 arrivò nel suo portfolio un secondo spazio, quello di Dar es Saada, chiamata anche “la casa della felicità e della serenità” arredata dall’amico ed interior designer Bill Willis a cui fu espressamente chiesto di ricreare un ambiente tipico, con legni pregiati e tappeti berberi. Nel 1980, invece, toccò a Villa Oasis e i famosi Giardini Majorelle situati nella sua cornice magica. Un santuario, quest’ultimo, dove Saint Laurent ritrovò ispirazione lontano dalla frenesia delle passerelle (e dove attualmente riposa dal momento che le sue ceneri sono state sparse nel roseto presente). Tuttavia nel cuore del designer non ci fu solo Marrakech. Nel 1990 infatti lui e Bergé acquistarono anche Villa Mabrouka a Tangeri: una residenza estiva (ora adibita ad hotel) dove respirare altre atmosfere pur mantenendo quel mix di dettagli tradizionali e decò tanto caro ai due. 

Un’eredità importante: tra palette vibranti e abiti da sogno

Si dice che Yves amasse dire che Marrakech “gli portava colore”. E in vero non era una metafora. Le tonalità decise si rifletterono nelle sue collezioni ricoprendo gonne, vestiti, turbanti fino a creazioni couture, evidenziando in maniera definitiva quel filo rosso che lo legava al Marocco. Quello stile allora esotico per il cotè modaiolo, ma pur sempre ritenuto visionario per l’epoca.

Quando ho scoperto il Marocco, ho capito che la palette di colori che usavo era quella dei zellige, dei zouac, dei djellaba e dei caffetani. Da allora devo le mie scelte audaci nel mio lavoro a questo Paese, alle sue armonie potenti, alle sue combinazioni ardite, all’ardore della sua creatività. Questa cultura è diventata la mia, ma non l’ho solo assorbita: l’ho annessa, trasformata, adattata.

Yves Saint Laurent

Yves Saint Laurent

Al di là degli abiti però è importante sottolineare come l’esperienza di vita marocchina dello stilista sia stata così importante per la sua omonima casa (e per lui) tanto da resistere anche alla sua morte. Per esempio, nel 2017 accanto al giardino Majorelle, infatti, aprì il Musée Yves Saint Laurent Marrakech, progettato dallo studio KO. Un edificio in terracotta che si è fatto custode delle creazioni, della visione e degli schizzi del couturier francese.

Ancora, a rimarcare il legame con il Marocco è anche l’Ourika Community Gardens, il progetto nato ai piedi dei Monti Altas di YSL Beauty lanciato nel 2014 che, sostenendo la creazione di una cooperativa per la cura dei giardini e la raccolta degli ingredienti per la cura della pelle e il trucco della griffe, si impose l’obiettivo di promuove l’artigianato locale e l’indipendenza finanziaria femminile, ispirando così il cambiamento in tutta la regione.

Insomma, quella tra Saint Laurent e il Marocco è stata una storia che indiscutibilmente ha lasciato dei segni, favorendo la nascita di nuove narrazioni. D’altra parte la moda, quando si assume il compito di essere arte, ha bisogno di un terreno fertile che la ispiri davvero. Per questo forse anche con il suo attuale direttore creativo Anthony Vaccarello il brand ha ribadito il suo love affair innumerevoli volte, come hanno dimostrato le sfilate primavera-estate 2021 e quella del 2023 della linea uomo. Dopotutto è normale: quando dei luoghi diventano casa, non si può che fare ritorno ogni tanto, sempre con l’eleganza.

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