La seconda vita degli stilisti
STYLE
1 Luglio 2025
Articolo di
Camilla Bordoni
La seconda vita degli stilisti
Si parla molto della possibilità di una seconda vita una volta conclusa la propria carriera lavorativa, la si vede di solito come la possibilità di una rinascita, un’epifania talvolta. Ma questo vale anche per la moda? Seppur agli outsider del fashion il ritiro, o il semplice congedo volontario, degli stilisti sia più similare ad un atto di resa, in realtà non è così; anzi esempi recenti caldeggiano verso una visione più positiva. Ovvero che la fine del percorso blasonato coincida con l’apertura di un nuovo capitolo: un secondo atto che, defilato dalle pressioni delle passerelle, alimenta una rinnovata linfa creativa e nuova identità.
Seguendo questo approccio, abbandonare l’industria della moda non appare così scandaloso, né tantomeno riprovevole. D’altronde viviamo nell’era dell’accettazione, della vita che vince sui meccanismi oppressivi del sé che tutta l’industria del lavoro invece caldeggia. Quindi sarebbe davvero anacronistico, oltre che poco obiettivo e incoerente, non permettere ai designer il proprio sliding door. Chi sono gli audaci stilisti che si sono reinventati lasciando lo scintillio glamour per abbracciare nuove sfide?
La crisi e l’incertezza del tempo c’entrano qualcosa con la seconda vita dei creativi?
È una domanda lecita ma allo stesso tempo pericolosa che però è necessaria valutare prima di passare alle attività extra moda a cui si sono dedicati i designer. A discapito di quanto si pensi, il punto della questione non è tanto la possibilità di una second life ma il tempismo con cui, soprattutto negli ultimi anni, sono arrivate le uscite (pseudo)definitive di alcune delle guide più grandi del settore. La società odierna è solcata da fatti incresciosi come crisi, guerre, conflitti e vari luxury shame che anche sul fashion system hanno indiscutibilmente delle ricadute considerevoli.
La moda di fatto si è ritrovata a dover affrontare non solo un disamore ma anche il suo stesso disincanto, portando alla luce (tra i tanti) un aumento dei prezzi impossibile da non notare, nemmeno per gli occhi del cliente high-spender meno attento alle spese. Un fatto sottolineato anche da uno studio di Altagamma dove si stima una perdita di 50 milioni di consumatori dovuta a un target price ormai inaccessibile. Mentre dall’altra faccia della medaglia, il fast fashion sembra acquistare sempre più appeal, portando una ricerca di Statista ad evidenziare come nel 2027 raggiungerà i 185 miliardi di dollari (+ 74,5 % rispetto al 2022).
Perciò, con questi dati alla mano sembra quasi comprensibile che i creativi, nonché dirette guide del fashion, ripensino alla propria vita, dedicandosi a qualcosa che li stimoli forse di più e che dia loro la capacità di staccarsi dalle dinamiche calcolatorie per abbracciarne altre più liberamente artistiche.
Le nuove sfide degli stilisti: dall’editoria, all’artigianato, il wellness, il sociale ecc…
Era marzo 2023 quando Jeremy Scott annunciò di lasciare Moschino dopo ben dieci anni di onorato servizio. Tutti al tempo ci siamo chiesti: «E ora? Che ne sarà dello stile più irriverente del fashion system». Tralasciando che poi la risposta è arrivata con il suo successore Adrian Appiolaza, i trend setter hanno comunque continuato a monitorare la vita (almeno sui social) dell’ex direttore.
Così a un certo punto sono venuti a sapere che Scott ha iniziato a collaborare con il marchio di prodotti di lusso per la cura della pelle Spoiledchild, creando prodotti che possono benissimo essere opere d’arte da collezionare; non solo wellness ma anche oggetti di design come dimostrano i razzi e gli astronauti cromati che possono essere dei buoni arredi per la casa.
Ma se di spazi, appartamenti e ville vogliamo parlare allora è qui che vi citiamo Dries Van Noten. Casualità o destino, era sempre marzo (ma del 2024) quando uno dei migliori esponenti degli Antwerp Six rese nota la volontà di congedarsi dal suo omonimo brand. Due mesi fa poi la notizia che lo stilista belga ha acquistato uno dei palazzi storici di Venezia, l’edificio quattrocentesco Palazzo Pisani Moretta, dichiarando ai media: «Questo è un viaggio personale. Il progetto riguarda Venezia, la storia, l’artigianato, la cultura e la creazione di qualcosa di contemporaneo con profondo rispetto per ciò che è venuto prima». Si preannuncia una carriera da mecenate nel mondo dell’arte?
Sulla stessa lunghezza d’onda sembra essere anche Maria Grazia Chiuri, fresca dal suo addio alla maison Dior ma impegnata da molti anni nella ristrutturazione del Teatro Cometa. Mentre invece se si approda sul piano prettamente culturale, ecco spuntare PM23 voluto da Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, un progetto che mira a trasformare un edificio storico romano in un contenitore di mostre e attività di ampio respiro.
O ancora, ecco che ci si imbatte in una casa editrice indipendente: la Bright Young Things fondata da niente meno che Hedi Slimane. E infine se c’è chi dopo un ritiro ha deciso di dedicarsi (temporaneamente) al sociale come Walter Chiapponi, c’è anche chi viene sempre visto vicino alla settimana arte come Tom Ford o chi come Sabato de Sarno, aspettando il momento propizio per il proprio back to catwalk, supporta Il capitone, documentario della giovane regista Camilla Salvatore.
Intanto però siamo sicuri che c’è ancora qualche domanda che non fa dormire il cotè modaiolo. Quale sarà la seconda vita di Donatella Versace? E di Virginie Viard? Non resta che monitorare il web, le locandine, il mercato immobiliare o la libreria sotto casa.
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